Le pietre di Belo
(da Eliogabalo di Antonin Artaud).
Vi sono pietre nere dalla forma di verga d’uomo, con sopra cesellato un sesso femminile. E queste pietre sono delle vertebre in angoli preziosi della terra. E la pietra nera d’Emesa è la più grande di queste vertebre, la più pura, la più perfetta. Ma vi sono pietre che vivono, come vivono piante e animali, come si può dire che il Sole, con le sue macchie che si spostano, si gonfiano e si sgonfiano, sbavano le une sulle altre, risbavano e di nuovo si spostano – e quando si gonfiano e si sgonfiano lo fanno aritmicamente e dall’interno – come si può dire che il Sole vive. Le macchie nascono in lui come un cancro, come i bubboni suppuranti di una peste. Vi è dentro una materia polverizzata che si raccoglie, – quasi dei pezzi di sole frantumati ma neri. E, ridotti in polvere, occupano meno posto, e tuttavia è lo stesso sole e la stessa estensione e quantità di sole, ma qua e là spento, e che ricorda allora il diamante e il carbone. E tutto questo vive; si può ben dire che delle pietre vivono; e le pietre di Siria vivono, come miracoli della natura, poiché sono pietre lanciate dal cielo. E sul suolo vulcanico della Siria molti sono i miracoli e i prodigi naturali. Un suolo che sembra tappezzato e fatto di pietra pomice, ma dove le pietre cadute dal cielo vivono di vita propria, e senza confondersi con la pietra pomice. E vi sono leggende meravigliose sulle pietre di Siria.
Testimone questo testo di Fozio, storico bizantino dell’età di Settimio Severo.
“Severo era un Romano e padre di Romani conformemente alla legge; egli stesso aveva detto d’aver visto una pietra dove si osservavano gli aspetti diversi della luna, mutevole d’ogni sorta di apparenze, ora questa ora quella, crescente o calante secondo il corso del sole, e così impressa del sole stesso”.
Bisogna dire che questo testo di Fozio non è un’opera originale, ma il ricalco di un libro perduto che, a giudicare dal numero degli scrittori che vi fanno riferimento, sembra aver costituito per gli antichi una vera Bibbia del Meraviglioso: la Vita d’Isidoro, di Damasco.
Ma la forma più affascinante delle pietre siriache si ritrova nei Betili, i Betili neri, o Pietre di Belo. Il Cono nero di Emesa è un Betilo che conserva il proprio fuoco e si appronta a effonderlo, poiché i Betili sono nati dal fuoco. Sono come le scintille carbonizzate del fuoco celeste. E sviscerare la loro storia vuol dire risalire alla genesi del mondo creato:
“Ho visto, dice ancora Severo, un Betilo mosso dall’aria, a volte celato entro coltri, ma a volte anche portato dalle mani di un servo; il nome di questo servo che aveva cura del Betilo era Eusebio, il quale mi disse che gli era venuto d’un tratto e in modo del tutto imprevisto il violento desiderio di uscire dalla città di Emesa, in piena notte, e di andarsene molto lontano verso quella montagna ove era confitto l’antico e magnifIco tempio di Atena; che ben presto era arrivato ai piedi della montagna e che là si era seduto per riposarsi detta fatica del cammino e che proprio in quel luogo aveva scorto un globo di fuoco che cadeva a grande velocità dal cielo e un enorme leone che si trovava presso il globo di fuoco; che il leone era subito scomparso, e che egli era corso al globo di fuoco ormai spento, che lo aveva preso ed era questo Betilo, e che, avendolo preso, aveva interrogato a qual dio appartenesse; e che questi gli rispose che apparteneva a Gennaios (questo Gennaios è adorato dagli Ieropolitani che gli hanno eretto nel tempio di Zeus una statua in forma di leone), che lo aveva trasportato a casa sua quella notte stessa, dopo aver percorso un cammino non minore, diceva, di duecentodieci stadi. Eusebio non era padrone dei movimenti del Betilo, ma doveva pregarlo e implorarlo; e quello esaudiva i suoi voti. Era un globo perfettamente sferico, di colore biancastro, e il suo diametro era di un palmo. Ma in certi momenti diventava più grande e più piccolo; in altri momenti assumeva un colore porporino. E ci mostrò delle lettere tracciate sulla pietra, nel colore che si chiama minio (o cinabro). Poi fissò il Betilo nel muro. E attraverso queste lettere il Betilo dava all’interrogante il responso cercato. Emetteva voci come un leggero sibilo che Eusebio ci interpretava».
In un altro passaggio del suo libro, lo stesso Fozio, soggiogato dal meraviglioso di quelle pietre, prova il bisogno di ritornare sulla loro descrizione, e ancora una volta fa riferimento alla testimonianza di Severo:
«Severo raccontava, tra l’altro, durante il suo soggiorno ad Alessandria, che aveva anche vista una pietra eliaca, non come quelle che noi abbiamo visto, ma che lanciava dal punto più profondo della sua massa raggi d’oro che formavano un disco simile al sole posto al centro della pietra e che al primo momento offriva alla vista una palla di fuoco. Scaturivano da essa raggi che raggiungevano la circonferenza perché tutta la pietra aveva forma sferica. Aveva visto anche una pietra selenitica, ma non di quelle ove si vede apparire una piccola luna solo dopo averle immerse nell’acqua, e che per questo sono chiamate idroselenitiche, ma una pietra che, per moto proprio e inerente alla sua natura, girava quando girava la luna e nel modo in cui essa girava, opera della natura davvero meravigliosa».
(Antonin Artaud, Eliogabalo, Adelphi)
Nell'immagine il betilo-torre di Palmavera, Alghero.