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E' così bello il cartoon di Walt Disney “Biancaneve e i sette nani” del 1937 che ha reso difficile realizzare altre realizzazioni filmiche della fiaba. Se ne conoscono solo versioni minori o laterali: un paio di cartoon senza pretese, un musical, qualche escursione nel porno (da notare che il genialmente intitolato “Biancaneve sotto i nani” in realtà non è né un porno né una versione della fiaba). Invece questa stagione cinematografica ce ne ha portate due: l'interessante “Biancaneve” di Tarsem Singh, in chiave avventuroso-ironica, e il deludente “Biancaneve e il cacciatore” di Rupert Sanders, in chiave fantasy (mortalmente) seria. A Lily Collins contro Julia Roberts corrispondono nel secondo film Kristen “Twilight” Stewart contro Charlize Theron.
L'idea base di “Biancaneve e il cacciatore” è di concentrare tutta la vicenda sulla bellezza/giovinezza (i due termini sono assimilati) come valore assoluto; essa diventa la ragion d'essere della regina-strega, che la cerca ovunque perché le occorre per sopravvivere, e anche la aspira vampirescamente da una prigioniera. Compare perfino un clan di donne rifugiate nella palude che si sfregiano per non essere belle e quindi sfuggire alla regina.
Qualsiasi film di genere possiede un livello metaforico. Questa gara in cui la bella donna che invecchia ricorre a vari artifici e tuttavia viene sconfitta e sostituita da una bella donna più giovane, viene dai fratelli Grimm; nondimeno vi si potrebbe vedere una metafora dell'eterna lotta fra le attrici di Hollywood (che rispetto ai maschi sono più soggette all'usura del tempo) – quasi un “Eva contro Eva” fantasy. Così Charlize Theron soccombe alla logica dell'invecchiamento, nonostante tutti i tentatrici per annullarlo (a livello diegetico la magia nera; a livello di messa in scena il make-up), e Kristen Stewart prende il suo posto.
L'idea della bellezza come punto centrale è logica, i suoi addentellati metaforici sono affascinanti; il punto è che rimane astratta. Per funzionare a livello metaforico il film deve prima funzionare a livello narrativo: ovvero, si direbbe che l'attivazione “riflessiva” dell'allegoria possa attuarsi solo sulla base di una “soddisfazione” creata dal primo livello del racconto. Siccome “Biancaneve e il cacciatore” delude a questo livello base, non riesce a a rendere vivo e concreto il livello superiore.
Se l'invenzione non manca, la realizzazione è piatta e stucchevole, incapace di farsi prendere sul serio: il regista esordiente Rupert Sanders è inferiore come capacità agli sceneggiatori (già non eccelsi, ma indubbiamente più sperimentati). Sul piano visuale è il tipico film di storyboard: le sue scene sembrano l'animazione di disegni preesistenti - ma senza vivacità né potenza.
Si tratta di un film altamente derivativo; il suo modello narrativo e visuale, evidentissimo, è il ciclo di Narnia. Peraltro a un certo punto - la parte successiva alla morte del nano - l'ispirazione si sposta visibilmente a “Il Signore degli Anelli”. Inoltre c'è anche una parte in cui l'intento è quello di rifare Disney, quando i protagonisti si inoltrano nel territorio delle fate; solo che è fortissimo il contrasto di atmosfera e di senso con tutto quanto precede. Ovvero, sembra un altro film: non è meno incongruo che se fosse comparso Fred Astaire ballando il tip tap.
La definizione dei personaggi è ambiziosa (i traumi infantili della regina cattiva. Il rapporto quasi incestuoso col suo malvagio fratello) ma nonostante gli sforzi degli interpreti partecipa di quella mancanza di calore di fondo che caratterizza il film; tuttavia c'è almeno un'idea molto graziosa: il bacio che risveglia Biancaneve non è quello, inefficace, del principe bensì quello del cacciatore plebeo innamorato di lei. Peraltro lo humour è totalmente assente. O meglio si concentra in una sola scena, che appare quindi un bizzarro unicum: quando i nani devono farsi strada nell'acqua putrida delle fogne del castello (per calare il ponte levatoio durante l'attacco), Muir, il Dotto della situazione, intona “Ehi-ho! Andiamo a lavorar!” e un altro nano commenta: “Se si mette a fischiettare gli spacco la faccia”.
Che la regina cattiva sia il personaggio visivamente più interessante, è la regola del gioco: Biancaneve dovrebbe essere una forza della natura per battere in attrazione spettacolare una strega capace di trasformarsi in uno stormo di corvi (l'immagine migliore del film); se poi Biancaneve è Kristen Stewart, aiuto! Perché Kristen Stewart è tutto meno che un'attrice. La sua concezione di recitazione è: socchiudere la bocca quando il personaggio è emozionato. Come in “Breaking Dawn”, anche qui questa donna è espressiva allo stesso modo da viva o da morta. D'altro canto le manca quel carisma che solo potrebbe sopperire alla sua desolante impassibilità.
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