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Biasimo del trentenne

Creato il 12 agosto 2012 da Postscriptum

Biasimo del trentenne

Prendo spunto da un bell’articolo del professor Massimo Cacciari, apparso su L’Espresso n.32 del 9 Agosto 2012 (Elogio del Parricidio). Il filosofo invitava in qualche modo la generazione dei “figli” alla destituzione dei “padri” e per quanto in un primo momento le sue parole potessero riscuotere un certo consenso nel mio animo, a ben vedere mi sono dovuto poi ricredere. Rendo comunque merito a Cacciari per il tentativo, e soprattutto per non aver utilizzato quel “giovani” che tanto di moda va da un bel pezzo, termine ormai carico di connotazioni addirittura farsesche.

Ad esser sinceri, rimane sin troppo discrezionale anche il più generale “figli”, che probabilmente non basta al fine di identificare finalmente quella oligarchia democratica salvifica di cui si è in attesa. Davvero non comprendo a chi dovrebbe toccare il “grato” compito. Qualcuno mi suggerisce la generazione dei trentenni, cui mi onoro di far parte da un paio d’anni. L’idea – mi ripeto – sarebbe non solo buona, ma persino lodevole se presa in considerazione seriamente. Aggiungo che non è neanche difficile metterla in atto, dal micro al macro, dal basso, come tutti i movimenti politici rispettabili. Ovviamente tralasciando le influenze reali o presunte di derivazione complottista. Basterebbe, in ogni caso, riunire un gruppo di amici, coetanei, trentenni – magari aiutati da qualche buon “padre”, come consiglia Cacciari – e avviare un processo riformistico locale, ad esempio in un Comune di venticinquemila abitanti. Badate, non si tratta di utopie, i padri della Repubblica avevano trent’anni o poco più quando già prendevano posto sugli scranni del Parlamento. Immaginatevi quanto giovani dovevano essere nel momento del primo passo in politica. All’avvio di carriera, probabilmente, Andreotti era più giovane di Cristo.

Il punto è che i figli di quei padri non riuscirono a commettere alcun famigerato parricidio. Si dovette attendere l’intercessione della magistratura per veder spuntare i “nipoti”, amici miei. Cosa vi fa dunque pensare che “noi trentenni” adesso possiamo essere in grado di fare qualcosa del genere? Sono parecchio scettico persino sull’eventuale risultato e sinceramente preferirei non chiedere aiuto alla Magistratura questa volta.

Non credo assolutamente nelle capacità di una generazione dell’ozio non costruttivo, immersa in una società degli agi. Noi siamo i trentenni della democratizzazione eccessiva internettiana(quando in una stanza tutti parlano allo stesso tempo, non c’è pluralismo di idee, ma solo confusione). Scriviamo sui blog, abbiamo un diario su Facebook, eppure siamo incapaci di far sintesi. Mi spiego meglio, ci manca l’educazione alla diatriba dialettica e alla conseguente sintesi di risultato. In altre parole, continuiamo ad oltranza a litigare, all’insegna dell’individualismo più esasperato. Quelle poche volte in cui riusciamo a metterci d’accordo, le soluzioni sono quasi sempre inadeguate, o utopistiche.

Non me ne vogliano i miei coetanei, forse sto solo riversando su “tutti” le mie insufficienze personali, fatto sta che sono fortemente convinto di quanto detto. Pensate, tra noi “giovani”, trentenni, esistono ancora divisioni fondate su ideologie morte e sepolte: fascismo, comunismo, socialdemocrazia, liberalismo, capitalismo…??? Molti non hanno neanche capito che “ideologia”, nella sua etimologia storica, rimanda all’imposizione di un desiderio personale, al limite oligarchico. Una singolarità che si espande verso la pluralità, proprio come le mie attitudini al biasimo di cui dicevo prima. In ogni caso non riusciamo neanche a trovare nuove ideologie atte a giustificare le pur giuste divisioni. E dunque non ci resta che continuare in un finto, fatuo, disaccordo su tutto, persino nell’ambito della politica spicciola.

Provate a chiedere in giro, ad un campione di una trentina di trentenni di un piccolo borgo siciliano di venticinquemila abitanti: L’economia locale deve incentrarsi più sul comparto agricolo (settore primario) “oppuramente” su quello turistico?  Il più abile se ne laverà le mani dicendo che occorre supportare entrambi, ma in generale ognuno di quei trentenni avrà idee anche stravaganti oltre che divergenti. Qualcuno dirà pure che sono altre le cose importanti, fidatevi.

C’è chi crede che il mondo, o il borgo, debba esser retto burocraticamente, sulla base di numeri, di tessere, e i mutamenti di “regime” debbano essere diretti in stile scalata ostile. Altri pensano – o sono convinti di farlo – che sia meglio puntare sul buon senso. E nessuno, nessuno, ve lo assicuro, sarà disposto a concedere qualcosa all’altro, neppure alla fine di una contesa elettorale interna. In effetti, mi si dirà che queste noiose contrapposizioni sono cose vecchie, che risalgono ai tempi dei guelfi e dei ghibellini. Forse non è del tutto vero, e a rischio di uscir fuori tema voglio anche precisare che di contrapposizioni si vive. Queste sono essenziali e necessarie, non mi si deve fraintendere, non sto dicendo che bisogna sempre essere d’accordo, anzi. Occorre tuttavia che al termine di una contesa, si faccia una sintesi, è questo che intendo dire e ora ribadisco. Questa la vera novità – magari ricorrente – del nostro triste periodo.

D’altronde stiamo bene, siamo comodi, non neghiamolo. Statisticamente non si muore di fame, inutile nasconderlo. I problemi economici, la Crisi, sono in realtà causa di una primigenia ricerca del surplus. Ovvio che le cose stanno cambiando, se ne vedono i segni. Prima o poi si morirà nuovamente di fame, senz’altro, ma non ora, non subito. E poi i trentenni sono già in politica, li vedo tutti i giorni, i figli sono già felicemente confusi coi loro genitori, altro che parricidio. Certo, c’è anche un nutrito gruppo di trentenni che comunque se ne sta fregando beatamente. Ed un altro più ristretto di critici, ottimisti e pessimisti. Tutti però incapaci di mettersi d’accordo su cosa litigare veramente, su cosa indignarsi sul serio.

Di chi la colpa? Di Platone, della sua Repubblica e di quei pruriti hegeliani che ne sono derivati. E poi colpa dei padri, ovvio. Ma ancora per poco, prima o poi alcuni tacceranno di ignavia gli altri, magari gli accusati saranno i nostri figli. La via riformista è dunque attualmente impossibile? Certo basta guardare alla Scuola e i maldestri tentativi di riforma che si sono susseguiti negli anni, per trovare un buon argomento a favore della tesi. Forse le cose si risolveranno da sole, lasciando dove si trovano coloro che hanno cominciato l’opera, nella speranza che la concludano. Non sarebbe neanche giusto eticamente il pretendere dai figli la ricerca delle soluzioni ai guasti provocati da altri. Dopo il macello, infine, potrebbe venir fuori una generazione di trentenni che, volenti o nolenti, finalmente sarà pronta alla ricostruzione. Non credo che il lungo anno elettorale che ci attende riuscirà a smentirmi. Buon lavoro, cari padri!
Gaetano Celestre


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