Guardare film non è così semplice come potrebbe sembrare a prima vista. Certi titoli ti lasciano dentro un comparto di emozioni tali che è impossibile ignorarle. Tempo fa una cosa simile mi è successa con Amour, un film che mi ha segnato profondamente e in maniera quasi negativa, però arricchendomi. Poi è stata la volta di A Serbian film, una pellicola che mi ha segnato negativamente e basta. Grazie a quest'ultimo titolo ho imparato che di certi prodotti bisogna avere una grande paura, quindi talune volte mi capita di avvicinarmi ad alcuni film con una strana titubanza, un po' come se una vecchietta rachitica con le unghie lunghe e sporche mi stia accarezzando le parti basse. Brrr! E mi è successo nel sentir nominare questo controverso Big bad wolves, film israelita che fra gli altri ha avuto l'appoggio di un entusiasta Quentin Tarantino, voce che avrebbe fugato ogni dubbio a quasi tutti i cinefili degni di questo nome. E infatti è stato sul consiglio globale di Tarantino se ho scoperto un film come Oldboy, ma poi non posso fare a meno di ricordare che questo simpatico registone è stato entusiasta anche di Kick-ass 2 e che ha aiutato l'uscita de L'uomo dai pugni di ferro. Quindi non so, ho iniziato la visione con uno strano senso di disagio, solo che al posto della vecchietta rachitica adesso sentivo un grande. cattivo lupo che mi alitava sul collo. E il suo alito non sapeva proprio di menta...
In una città israeliana viene uccisa una bambina. Il primo sospettato è un insegnante di teologia, subito torturato da un poliziotto dalla testa molto calda. Il particolare interrogatorio però viene filmato e mandato in rete, causando il licenziamento dell'agente, che decide di portare avanti l'indagine da solo, continuando a pedinare il primo sospettato. La cosa però si fa interessante quando incontra il padre della bambina uccisa, deciso anche lui a farsi giustizia da sé...
A un certo punto pensavo fosse un film coreano. C'è tutto quello che caratterizza quel tipo di pellicole orientali: una regia magnifica, una storia quasi perversa e inquietante, implicazioni morali non da poco e un uso della violenza che non sfocia nell'abuso. Solo che gli attori non hanno gli occhi a mandorla e la parlata sembra quella di un tedesco con una pezza in bocca. Dopo la sorpresa avuta qualche tempo fa con quello che è stato il cinema greco - si vedano pellicola come Miss Violence o Kynodontas - adesso tocca a Israele mollarmi un bel pungo alla bocca dello stomaco. Anche se qui si va più vicini al recente Prisoners. I registi e sceneggiatori Aharon Keshales e Navot Papushado, qui al loro secondo mandato come cineasti, riescono a mettere in piedi una pellicola molto difficile, cruda ma senza essere vouyerista, ironica senza però essere leggera, grottesca senza sfociare nel ridicolo. E' un film ben calibrato e che si fa portavoce di un messaggio complesso e realistico, frutto di una società come quella israeliana che sembra essersi fatta carico di una violenza oramai insanabile e che il lavoro della premiata ditta Keshales/Papushado cerca di esorcizzare con una loro visione del dolore e del male. E mai un titolo fu più esemplificativo della sua importanza come in questo caso perché, se si presta attenzione, i lupi indicati sono più di uno. Si potrebbe pensare che con quel canide i registi avessero voluto metaforizzare la figura del pedofilo, quando invece è tutta l'umanità ad essere messa alla berlina. Non ci sono veri e propri lupi così come non ci sono vere e proprie pecore. Tutti sono vittime e tutti sono carnefici, pronti a soffermarsi in un gioco perverso che un certo tipo di società sembra aver reso accettabile e programmato. L'azione si svolge quasi tutta in un solo luogo, lontano dalle telecamere pronte a farla diventare un fatto di cronaca e forse è proprio questo che la rende così emblematica o inquietante [e infatti, ora che nessun tiggì ne parla più, sul mio Facebook i politicanti di turno hanno smesso le loro invettive contro Israele, validando questa tesi], quasi più del macabro ritrovo del cadavere della ragazzina. C'è la consapevolezza che è un qualcosa di privato, che l'innocenza sta per essere perduta definitivamente su quello che è un terreno che l'ha perso già da tempo - a tal proposito, molto bella la scena dell'incontro con l'arabo a cavallo. Tutte le personalità torturatrici che verranno coinvolte sono degli ex militari, persone che con la morte ci hanno convissuto e che, in quanto ex poliziotti, fanno parte di un organo che spesso ha abusato dei propri poteri e che non si è fatto amare per nulla. Sia chiaro poi che io non giustifico minimamente la giustizia privata, sono sempre sicuro che ogni persona, anche la peggiore, meriti un giusto processo tenuto in piedi da un individuo estraneo ai fatti, eppure non posso certo criticare quelli che vogliono vendicare un figlio ucciso. Qui invece la dicotomia si fa ben differente perché non è solo per un sentimento di vendetta che le persone sembrano voler far del male alle altre, ma proprio per una sorta di lavaggio di cervello che sembrano aver avuto. In I saw the Devil uno dei personaggi diceva «Non bisogna trasformarsi in un mostro per catturare un mostro», mentre qui la frase cult è «Lo sai cosa teme di più un pazzo? Un altro pazzo». Quindi anche il diretto effettuante ammette che non c'è nulla di sano nelle sue azioni, che sono dettate da una sorta di malattia. Non c'è l'eroismo che poteva esserci nelle protagoniste di un rape and revenge, la vendetta non è effettuata per portare una qualche giustizia. C'è solo un puro e isolato egoismo, frutto di un tempo e di una storia che non ha lasciato speranza al mondo. I due registi portano così avanti questo messaggio con una regia solida e dal ritmo mai in calando (esemplificativa a tal punto la scena introduttiva, davvero molto bella) e con un black-humour perenne che però non si dimostra mai troppo stupido o fuori luogo. E saranno proprio quelle risate amare, insieme a un finale agghiacciante, a dare un ritratto ancora più spietato di un'umanità che non riesce più a fare la differenza fra vittime e carnefici.
Non so se è il miglior film dell'anno come ha detto il buon Quentin, ma di sicuro è una visione che fa pensare e che lascia con uno strano miscuglio nello stomaco.Voto: ★★★★