Magazine Cinema
(id.)
di Tim Burton (Usa, 2014)
con Amy Adams, Cristoph Waltz, Danny Houston, John Polito, Krysten Ritter, Terence Stamp
durata: 105 min.
★★☆☆☆
California, anni '50. Margaret (Amy Adams) è una giovane casalinga con l'hobby della pittura, in fuga da un matrimonio sbagliato e costretta a dipingere ritratti ai passanti per sbarcare il lunario. Un giorno in un mercatino di strada conosce Walter Keane (Cristoph Waltz), affascinante pittore bohémien di cui s'innamora all'istante, ricambiata. I due si sposano e Margaret continua a dipingere con passione i suoi quadri, tutti più o meno uguali, raffiguranti bambini tristi dai grandi occhi che il marito cerca di piazzare in qualche galleria d'arte, ottenendo però come massimo risultato i corridoi vicino ai bagni di qualche lurido pub del centro. Un giorno però, del tutto casualmente, Walter viene alle mani con uno pseudo-critico d'arte e la stampa locale riporta tutto: inutile dire che grazie a questa inaspettata pubblicità i quadri di Margaret diventano famosissimi in tutto il mondo.
C'è un problema, però: Walter, losco affarista assetato di denaro e fama, fiuta in un attimo il business, e approfittando del fatto che Margaret firma le tele col solo cognome (Keane), fa credere che i quadri siano suoi e non della moglie. Margaret, dal canto suo, all'inizio accetta di collaborare alla truffa, vuoi per il suo carattere fragile e mite, vuoi perchè come dice Walter nell'America bigotta e perbenista dell'epoca un'artista-donna era davvero poco credibile. Così, mentre Walter fa soldi a palate con il merchandising, Margaret resta segregata in casa a sfornare quadri a getto continuo. Finchè un giorno inevitabilmente si stufa...
E' davvero difficile riconoscere in questa torbida storia di imbrogli e liti familiari lo stile irriverente, stralunato e amabilmente dark di Tim Burton. Abbandonata senza rimpianti (da parte di entrambi) la poco felice esperienza con la Disney, Burton torna sotto l'ala protettiva dei fratelli Weinstein, che producono il film insieme a Scott Alexander e Larry Karaszewski, già sceneggiatori tanti anni fa del bellissimo Ed Wood. Stavolta però il risultato lascia abbastanza freddi: la confezione del film è di prima classe (accuratissima nei costumi e nei colori vintage) ma la storia non appassiona più di tanto, complice una certa superficialità nella messinscena, che non approfondisce come dovrebbe, a mio parere, il lato 'politico' della vicenda: sarebbe stata infatti la trama perfetta per un film sull'emancipazione della donna, sul ruolo dei media nei confronti della cultura popolare e su come questi influenzano i gusti del pubblico, sul rapporto sempre conflittuale tra l'arte e il business che le gravita intorno.
Invece Big Eyes è un film appena discreto, che si guarda anche volentieri ma che sparisce subito dalla mente, soprattutto sapendo che è un film di Tim Burton: manca infatti quel tipico humor nero, quella beffarda ironia di fondo che pervade tutte le opere migliori del regista californiano, forse troppo preso stavolta dalla smania di dimostrare al pubblico di saper dirigere anche film 'per adulti' e tratti da storie vere come questa. Rinunciando però al suo stile, Burton realizza un'opera irrimediabilmente anonima, impersonale, contagiando (almeno sembra) anche gli attori protagonisti: Christoph Waltz infatti è confinato in un ruolo a lui evidentemente poco naturale e costretto a recitare sempre sopra le righe, mentre faccio davvero fatica a credere che la contenutissima Amy Adams sia in corsa per l'oscar con questa interpretazione: non so cosa ci abbiano visto i giurati dell'Academy (ammesso che davvero raccolga la nomination) ma, a mio modestissimo parere, la perfida Rosamund Pike di Gone Girl la povera Amy se la mangia a colazione...
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