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Big Pharma e le ricerche: 'smettere di comprare pubblicità'

Creato il 06 dicembre 2011 da Informasalus @informasalus

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Big Pharma e le ricerche: 'smettere di comprare pubblicità'

“Smettere di comprare pubblicità”. Questo il titolo dell'editoriale pubblicato dall'epidemiologo Tom Jefferson su Ricerca&Pratica, rivista dell'istituto farmacologico Mario Negri. In riferimento a Big Pharma, l'epidemiologo denuncia come business e pubblicità uccidono la serietà.
Ecco cosa si legge nell'editoriale:
“Il New England è la piu autorevole rivista medica del mondo?”. Durante i seminari didattici sulla valutazione critica della letteratura scientifica, questa domanda prima o poi arriva. Per rispondere, piu di una volta ho indossato i panni di Sun Tzu, cavandomela con una frase che scatena puntualmente ilarità e qualche imbarazzo tra i partecipanti: “Non e la più autorevole. Ha solo un impact factor piu lungo del tuo”.
Passa il tempo e su certe cose ho sempre meno voglia di scherzare. Nel 2009 abbiamo pubblicato una revisione sistematica di 259 studi sui vaccini antinfluenzali: tra i risultati, una forte associazione tra il finanziamento dello studio da parte di un’industria e la pubblicazione su una rivista ad elevato fattore di impatto. La cosa sorprendente, però, era la mancanza di correlazione di questa evidenza con la qualità metodologica della ricerca.
Altri elementi sono sotto gli occhi di tutti:

► gli studi controllati randomizzati (RCT) sono sempre piu raramente supportati

da enti indipendenti, per il costo elevato e la crescente complessita di conduzione;

► sotto forma di reprint, gli RCT sono diventati la moneta corrente del marketing,

esposti ai congressi accanto ai “Riassunti delle Caratteristiche del Prodotto”;

► con il calo dei ricavi da pubblicita e da abbonamenti, la vendita di reprint e diventata

un fattore a cui non si puo rinunciare per la sopravvivenza dei periodici

di medicina;

► agli editori, ai direttori e alle societa scientifiche non e chiesto di dichiarare eventuali

conflitti di interessi (sembra riguardino solo gli autori);

► le istituzioni pubbliche continuano a spendere milioni di euro per acquisire fonti

che in molti casi propongono contenuti finalizzati a sostenere attivita di marketing;

► l’acquisto dei periodici “a pacchetto” disincentiva la selezione critica da parte delle

istituzioni: ti dicono che “paghi 2 e prendi 3” ma in realta compri pubblicita;

► le stesse istituzioni sanitarie che impegnano ingenti risorse per abbonamenti, investono

poco nella formazione del personale sanitario alla valutazione critica dei

contenuti.

Impedire alle riviste di vendere reprint alle aziende farmaceutiche? Forse. Ma probabilmente la soluzione è ancora più radicale: smettere di pubblicare i risultati degli RCT sulle riviste. Andrebbero piuttosto postati su repositories pubblici e indipendenti, che accolgano i dati nella loro interezza (dal protocollo ai risultati) così che chiunque possa prenderne visione.

Tutto il sistema guadagnerebbe credibilità.


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