La caratteristica comune di un big data è la sua apparente informalità, la mancanza di senso che rassicura ciascuno all’interno delle proprie difese identitarie, poste a baluardo delle dinamiche di Grande Fratello, quello orwelliano e non del reality show. L’analisi dei dati e la loro riconducibilità verso un senso determinato è stato il più importante interrogativo dell’informatica recente.
Prodotti e soluzioni ICT che hanno risolto una specifica problematica di nicchia, improvvisamente hanno aperto implementazioni che la progettazione teorica non aveva considerato.
Un po’ come l’antica rete telefonica che oggi fa da collettore più alla trasmissione di altro che non la voce.
La rete, e la connettività che ne implica l’uso, permette proprio il continuo ibridamento e fertilizzazione dell’esistente, la rete internet, con la caratteristica di essere aperta e libera, ha divelto il coperchio pesante di un vaso di Pandora che prima sembrava solido e inamovibile. In qualche modo è stato il Big Bang dell’ Informazione, un’accelerazioni che ha creato la luce e ha determinato la velocità di propagazione dell’immateriale.
Appunto, ha creato un divenire che si chiama IN-Formazione che è grezzo e che, man mano ci si allontana dal punto dell’esplosione energetica, si va raffreddandosi e consolidandosi con una forma sempre più precisa. Il numero di Dunbar Gli umani non partecipano in quanto tali a questo fenomeno.
L’accelerazione è sinonimo di riduzione. L’elettricità è un fenomeno che implica piccole dimensioni e quantità e mette in movimento, trasporta e fa interagire gli elementi scomposti in de-formazioni, compressioni, semplificazioni.
Una persona è invece un assieme complesso e la sua interazione con altri sistemi complessi implica la lentezza, la decelerazione, quasi la fissità, in ogni caso esclude il multitasking.
Quando Robin Dunbar elaborò la sua teoria sui limiti neurofunzionali alla base delle interrelazioni di un individuo con il suo gruppo voleva dire questo.
Il numero di senso che siamo in grado di dare nel nostro agire è limitato dal fatto che la nostra necessità di chiederci ‘ perchè ‘ su ogni cosa che facciamo è dovuto alla neocorteccia, l’evoluzione cognitiva del cervello.
Ogni volta che ci chiediamo ‘perchè’ operiamo una formattazione in chiaro, escludiamo il cervello atavico e istintuale, quasi meccanico e deterministico, e diventiamo umani, esseri pensanti e razionali.
Il limite di storage della nostra neocorteccia ci preserva dalle incoerenze del principio di non contraddizione, quel principio cognitivo che crea la nostra identità e risponde ai nostri profondi ‘perchè’.
Non ci fa cadere nel crash panico, l’urlo di Pan terrificante, lo scatenamento delle domande che la Natura ci pone ed alla quale non siamo in grado di rispondere, o che forse si è risposto con il Dio monoteista, che non è dentro la Natura, ma che l’ha creata.
Ci permette di ordinare e dare un nome ad ogni cosa, perchè ogni cosa sia visibile.
Ci permette di ricordare perchè quello che ricordiamo esiste e quello che abbiamo dimenticato non è mai esistito. Pertanto il nostro Dio interiore ci punisce nel momento in cui cerchiamo inutilmente di gestire oltre limite le relazioni con i nostri simili, ma anche con le macchine, gli eventi, i luoghi.
Il nostro Dio Pan urla terrifico e ci fa comprendere che cercare di varcare le colonne di Dunbar ci esporrà alla vendetta della Natura o del mago di Oz.
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