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Biocapitalismo

Creato il 07 febbraio 2012 da Dariovignali @dariovignali

BiocapitalismoIl capitalismo ha attraversato nella sua lunga storia diverse fasi, ma ha seguito un unico percorso evolutivo, caratterizzato dal processo di progressiva diffusione del capitale nella realtà sociale.

Il capitale infatti, in virtù della sua natura quantitativa e impersonale, ha la capacità di assumere qualsiasi forma e di propagarsi nel mondo qualitativo del valore d’uso e dei bisogni umani, esso determina quindi un piano di società astratto e sovrasensibile.

Innanzitutto, il processo di astrazione riguarda il capitale stesso. la ricchezza economica, in cui da sempre esso si concretizza, è infatti cambiata: un tempo legata alla concretezza della terra e ad altri beni immobili, ora si è fatta più mobile e leggera, assumendo ad esempio le forme del credito e della finanza.

Secondo George Simmel, il denaro, esattamente come il capitale, ha perso nel tempo il suo valore materiale e specifico per trasformarsi in valore astratto e indistinto, egli afferma: “Diventando sempre più l’espressione e l’equivalente assolutamente sufficente di tutti i valori, il denaro si eleva a un’altezza di astrazione tale da sovrastare tutta la vasta molteplicità degli oggetti e costruire il centro nel quale le cose più antitetiche, estranee e lontane trovano il loro elemento comune fino ad arrivare a toccarsi” (Simmel 1998).

Secondo Karl Marx, nel capitalismo il processo di astrazione riguarda principalmente il lavoro ed è evidente nella particolare capacità della forza lavoro di trasformare il suo valore d’uso in valore economico, dunque di farsi astratta. La qualità della forza lavoro diventa cioè quantità nel momento in cui il lavoro viene venduto sul mercato come qualsiasi merce: il lavoro ha quindi trasformato progressivamente la sua natura da concreta in astratta.

Negli ultimi anni, il processo di astrazione della società si è intensificato. Il denaro si è trasformato in informazione circolante nelle reti informatiche e dunque senza più vincoli di spazio e tempo. E’ divenuto cioè una componente di un flusso globale dove tutto si mescola incessantemente: forme di pagamento, messaggi pubblicitari, informazioni, spettacoli, merci e consumatori.

La conoscenza è sempre stata una risorsa importante per il funzionamento del sistema economico, ma oggi è diventata fondamentale. Karl Marx aveva intuito questa trasformazione del capitalismo individuando l’importante ruolo produttivo svolto dal general intellect, cioè dal “sapere sociale generale”, inteso come rete di relazioni e conoscenze che si sviluppano all’interno della fabbrica e che vengono impiegate per la produzione attraverso i macchinari. Nei lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica aveva sostenuto infatti che “il sapere astratto – quello scientifico in primo luogo, ma non sol- si avvia a diventare, proprio della sua autonomia dalla produzione, niente di meno che la principale forza produttiva, regalando il lavoro parcellizzato e ripetitivo in una posizione residuale.

Ma il processo che si sta sviluppando oggi è ben più ampio di quello previsto da Marx all’interno della concezione del General Intellect. Non riguarda cioè soltanto la capacità del sapere sociale di trasformarsi in “capitale fisso”, cioè di rendere produttivi i macchinari operanti nelle fabbriche.

A diventare sempre più importanti come strumenti di produzione sono le componenti immateriali dell’essere umano, come i processi mentali, le immaginazioni e le visioni del mondo.

Vale a dire che la fonte del valore economico è ancora rappresentata dal lavoro svolto dagli individui, ma, grazie alla delocalizzazione produttiva in aree geografiche dove il costo della manodopera è minimo e alla crescente potenza delle tecnologie produttive, il lavoro in occidente tende a focalizzarsi soprattutto sulle  attività di ideazione, progettazione, promozione e commercializzazione dei prodotti. cioè sulle attività di Marketing e comunicazione e sul loro orientamento verso la ricerca di una relazione con i consumatori.

Dunque, oggi la fonte di del valore economico per le aziende non risiede tanto nella produzione quanto nell’invenzione di un bene.

Marx in Per la critica dell’economia politica è stato il primo a sviluppare l’idea che il consumatore possa svolgere un ruolo attivo all’interno del sistema economico. Soltanto il consumatore è in grado di attribuire alla merce il suo carattere di finish, cioè di conclusione necessaria del ciclo economico di valorizzazione del capitale.

In realtà oggi il lavoro del consumatore è tutt’altro che marginale, in quanto riveste un ruolo centrale all’interno dei processi produttivi per il funzionamento della catena del valore del biocapitalismo. Innanzitutto, il consumatore produce continuamente quel sapere comune che si alimenta degli scambi reciproci tra le persone ed è fondamentale per lo sviluppo del sistema economico. Infatti, in un’economia della conoscenza gli individui, terminata la giornata lavorativa, continuano a convivere con il loro strumento di lavoro -la conoscenza- e pertanto si trasformano quotidianamente in poli informali di diffusione di quella conoscenza e di quella cultura che, consciamente o inconsciamente, hanno acquisito.

La società della conoscenza oggi sottrae all’individuo non solo le ore di lavoro ma anche il suo tempo libero. Nel tempo libero l’individuo è cioè spinto a svolgere delle attività che sono estremamente utili per il processo produttivo.

Spesso il consumatore è contento di poter fare da solo alcune operazioni per le quali fino a non molti anni fa doveva ricorrere a terzi.

Ikea è probabilmente una delle aziende che hanno maggiormente sviluppato questo modello. In un negozio di questa catena, infatti, il cliente deve individuare il codice dell’articolo che desidera, cercare l’oggetto, rimuoverlo dagli scaffali dove si trova in forma di pacco, caricarlo sulla propria automobile, portarlo a casa, leggere le istruzioni, e infine montarlo pezzo per pezzo. Certo ha risparmiato, ma quanto ha risparmiato l’impresa in questo caso? Probabilmente molto. Come d’altronde risparmiano le catene di supermercato, le quali già da tempo impongono ai propri clienti di scegliere, impacchettare e pesare frutta e verdura.

Viene quindi a crearsi il concetto di prosumer, unione di producer e consumer, cioè di produttore e consumatore.

Si aggiunge inoltre il ruolo svolto da internet, che ha reso possibile la nascita di gruppi di appassionati che vengono continuamente stimolati alla creazione o al miglioramento dei prodotti dalle stesse aziende.

Ne è esempio la Fiat, che ha chiesto  ai consumatori di contribuire alla creazione della nuova 500, ricevendo moltissime proposte.

Va considerato infine che oggi il consumatore ha un ruolo importante rispetto la strategia aziendale anche quando consuma un prodotto. Ogni sua scelta di mercato lascia infatti delle tracce che trasmettono indicazioni al sistema produttivo, consentendo a quest’ultimo di sintonizzare le sue strategie. Il consumatore dunque, mentre consuma, produce informazioni utili per la progettazione e la produzione di nuovi prodotti.

I consumatori vengono utilizzati dalle imprese anche per promuovere i propri prodotti. Innanzitutto attraverso il  “passaparola”: molte aziende ad esempio offrono denaro ai sempre più numerosi autori di blog affinchè parlino dei loro prodotti.

Un esempio di quanto accade è la campagna pubblicitaria della birra Beck’s, basata su uno spot che ha per soggetto le disavventure di un viaggiatore nella classe economica di un aereo e che non si conclude ma rimanda lo spettatore a un indirizzo internet dove si può scegliere il finale favorito o proporne uno nuovo.

Oggi grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, tra l’impresa e il consumatore si sta producendo una situazione di crescente commistione. E l’impresa ne approfitta per chiedere al consumatore di fare una parte del suo lavoro.

Il biocapitalismo può essere definito quindi come la messa a valore della materia biologica e del vissuto psichico degli individui.

Il biocapitalismo oltrepassa l’idea dello sfruttamento del lavoratore salariato o precario per spingersi verso l’uso dell’essere umano come identità da manipolare a pagamento, come vettore di mode monetizzabili, come materia biologica da brevettare.

Il biocapitalismo ha scoperto che il valore risiede nelle identità, nei significati, nelle esperienze degli individui e nel loro desiderio di acquisire sempre nuove identità, nuovi significati, nuove esperienze. Grazie al fatto che oggi la materia biologica e il vissuto psichico sono brevettabili e manipolabili, essi diventano le vere fonti del valore.

L’esigenza del biocapitalismo diventa quella di trovare sempre nuovi modelli di utilizzo delle nuovi fonti di valore e di costruire un ambiente che alimenti costantemente il desiderio di identità, significati ed esperienze.

Il biocapitalismo non punta a contrattare un costo di acquisto o un prezzo finale, ma a persuadere verso l’accettazione di un modello di vita.

Il capitalismo ha attraversato nella sua lunga storia diverse fasi, ma ha seguito un unico percorso evolutivo, caratterizzato dal processo di progressiva diffusione del capitale nella realtà sociale.

Il capitale infatti, in virtù della sua natura quantitativa e impersonale, ha la capacità di assumere qualsiasi forma e di propagarsi nel mondo qualitativo del valore d’uso e dei bisogni umani, esso determina quindi un piano di società astratto e sovrasensibile.Innanzitutto, il processo di astrazione riguarda il capitale stesso. La ricchezza economica, in cui da sempre esso si concretizza, è infatti cambiata: un tempo legata alla concretezza della terra e ad altri beni immobili, ora si è fatta più mobile e leggera, assumendo ad esempio le forme del credito e della finanza.

Secondo George Simmel, il denaro, esattamente come il capitale, ha perso nel tempo il suo valore materiale e specifico per trasformarsi in valore astratto e indistinto, egli afferma: “Diventando sempre più l’espressione e l’equivalente assolutamente sufficente di tutti i valori, il denaro si eleva a un’altezza di astrazione tale da sovrastare tutta la vasta molteplicità degli oggetti e costruire il centro nel quale le cose più antitetiche, estranee e lontane trovano il loro elemento comune fino ad arrivare a toccarsi” (Simmel 1998).

Secondo Karl Marx, nel capitalismo il processo di astrazione riguarda principalmente il lavoro ed è evidente nella particolare capacità della forza lavoro di trasformare il suo valore d’uso in valore economico, dunque di farsi astratta. La qualità della forza lavoro diventa cioè quantità nel momento in cui il lavoro viene venduto sul mercato come qualsiasi merce: il lavoro ha quindi trasformato progressivamente la sua natura da concreta in astratta.

Negli ultimi anni, il processo di astrazione della società si è intensificato. Il denaro si è trasformato in informazione circolante nelle reti informatiche e dunque senza più vincoli di spazio e tempo. E’ divenuto cioè una componente di un flusso globale dove tutto si mescola incessantemente: forme di pagamento, messaggi pubblicitari, informazioni, spettacoli, merci e consumatori.

La conoscenza è sempre stata una risorsa importante per il funzionamento del sistema economico, ma oggi è diventata fondamentale. Karl Marx aveva intuito questa trasformazione del capitalismo individuando l’importante ruolo produttivo svolto dal general intellect, cioè dal “sapere sociale generale”, inteso come rete di relazioni e conoscenze che si sviluppano all’interno della fabbrica e che vengono impiegate per la produzione attraverso i macchinari. Nei lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica aveva sostenuto infatti che “il sapere astratto – quello scientifico in primo luogo, ma non sol- si avvia a diventare, proprio della sua autonomia dalla produzione, niente di meno che la principale forza produttiva, regalando il lavoro parcellizzato e ripetitivo in una posizione residuale.

Ma il processo che si sta sviluppando oggi è ben più ampio di quello previsto da Marx all’interno della concezione del General Intellect. Non riguarda cioè soltanto la capacità del sapere sociale di trasformarsi in “capitale fisso”, cioè di rendere produttivi i macchinari operanti nelle fabbriche.
A diventare sempre più importanti come strumenti di produzione sono le componenti immateriali dell’essere umano, come i processi mentali, le immaginazioni e le visioni del mondo. Vale a dire che la fonte del valore economico è ancora rappresentata dal lavoro svolto dagli individui, ma, grazie alla delocalizzazione produttiva in aree geografiche dove il costo della manodopera è minimo e alla crescente potenza delle tecnologie produttive, il lavoro in occidente tende a focalizzarsi soprattutto sulle  attività di ideazione, progettazione, promozione e commercializzazione dei prodotti. cioè sulle attività di Marketing e comunicazione e sul loro orientamento verso la ricerca di una relazione con i consumatori.

Dunque, oggi la fonte di del valore economico per le aziende non risiede tanto nella produzione quanto nell’invenzione di un bene.Marx in Per la critica dell’economia politica è stato il primo a sviluppare l’idea che il consumatore possa svolgere un ruolo attivo all’interno del sistema economico. Soltanto il consumatore è in grado di attribuire alla merce il suo carattere di finish, cioè di conclusione necessaria del ciclo economico di valorizzazione del capitale.

In realtà oggi il lavoro del consumatore è tutt’altro che marginale, in quanto riveste un ruolo centrale all’interno dei processi produttivi per il funzionamento della catena del valore del biocapitalismo. Innanzitutto, il consumatore produce continuamente quel sapere comune che si alimenta degli scambi reciproci tra le persone ed è fondamentale per lo sviluppo del sistema economico. Infatti, in un’economia della conoscenza gli individui, terminata la giornata lavorativa, continuano a convivere con il loro strumento di lavoro -la conoscenza- e pertanto si trasformano quotidianamente in poli informali di diffusione di quella conoscenza e di quella cultura che, consciamente o inconsciamente, hanno acquisito.

La società della conoscenza oggi sottrae all’individuo non solo le ore di lavoro ma anche il suo tempo libero. Nel tempo libero l’individuo è cioè spinto a svolgere delle attività che sono estremamente utili per il processo produttivo.Spesso il consumatore è contento di poter fare da solo alcune operazioni per le quali fino a non molti anni fa doveva ricorrere a terzi.

Ikea è probabilmente una delle aziende che hanno maggiormente sviluppato questo modello. In un negozio di questa catena, infatti, il cliente deve individuare il codice dell’articolo che desidera, cercare l’oggetto, rimuoverlo dagli scaffali dove si trova in forma di pacco, caricarlo sulla propria automobile, portarlo a casa, leggere le istruzioni, e infine montarlo pezzo per pezzo. Certo ha risparmiato, ma quanto ha risparmiato l’impresa in questo caso? Probabilmente molto. Come d’altronde risparmiano le catene di supermercato, le quali già da tempo impongono ai propri clienti di scegliere, impacchettare e pesare frutta e verdura.Viene quindi a crearsi il concetto di prosumer, unione di producer e consumer, cioè di produttore e consumatore. Si aggiunge inoltre il ruolo svolto da internet, che ha reso possibile la nascita di gruppi di appassionati che vengono continuamente stimolati alla creazione o al miglioramento dei prodotti dalle stesse aziende.

Ne è esempio la Fiat, che ha chiesto  ai consumatori di contribuire alla creazione della nuova 500, ricevendo moltissime proposte.Va considerato infine che oggi il consumatore ha un ruolo importante rispetto la strategia aziendale anche quando consuma un prodotto. Ogni sua scelta di mercato lascia infatti delle tracce che trasmettono indicazioni al sistema produttivo, consentendo a quest’ultimo di sintonizzare le sue strategie.

Il consumatore dunque, mentre consuma, produce informazioni utili per la progettazione e la produzione di nuovi prodotti.I consumatori vengono utilizzati dalle imprese anche per promuovere i propri prodotti. Innanzitutto attraverso il  “passaparola”: molte aziende ad esempio offrono denaro ai sempre più numerosi autori di blog affinchè parlino dei loro prodotti.

Un esempio di quanto accade è la campagna pubblicitaria della birra Beck’s, basata su uno spot che ha per soggetto le disavventure di un viaggiatore nella classe economica di un aereo e che non si conclude ma rimanda lo spettatore a un indirizzo internet dove si può scegliere il finale favorito o proporne uno nuovo.Oggi grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, tra l’impresa e il consumatore si sta producendo una situazione di crescente commistione. E l’impresa ne approfitta per chiedere al consumatore di fare una parte del suo lavoro.

Il biocapitalismo può essere definito quindi come la messa a valore della materia biologica e del vissuto psichico degli individui.Il biocapitalismo oltrepassa l’idea dello sfruttamento del lavoratore salariato o precario per spingersi verso l’uso dell’essere umano come identità da manipolare a pagamento, come vettore di mode monetizzabili, come materia biologica da brevettare.

Il biocapitalismo ha scoperto che il valore risiede nelle identità, nei significati, nelle esperienze degli individui e nel loro desiderio di acquisire sempre nuove identità, nuovi significati, nuove esperienze. Grazie al fatto che oggi la materia biologica e il vissuto psichico sono brevettabili e manipolabili, essi diventano le vere fonti del valore.

L’esigenza del biocapitalismo diventa quella di trovare sempre nuovi modelli di utilizzo delle nuovi fonti di valore e di costruire un ambiente che alimenti costantemente il desiderio di identità, significati ed esperienze.Il biocapitalismo non punta a contrattare un costo di acquisto o un prezzo finale, ma a persuadere verso l’accettazione di un modello di vita.

Dalla mia tesina, e grazie a Vanni Codeluppi


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