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Biografilm Festival: “Tutto in una notte” di Emanuele Angiuli

Creato il 30 settembre 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Siamo al quarto giorno di programmazione al Biografilm Festival, nell’edizione speciale romana che ha importato nella Capitale un’esperienza tutta bolognese dedicata al documentario biografico.

Presente alla prima proiezione della giornata Tutto in una notte, documentario dedicato al gruppo rock demenziale degli Skiantos, nato a Bologna nel 1977, c’è il regista Emanuele Angiuli che ama raccontare le storie di gruppi spinti da un obiettivo comune; anche l’altro suo documentario Traumfabrik è la storia di un gruppo di studenti che negli anni Settanta occupano la casa sfitta di un ex-calciatore e la trasformano in un luogo dove riunirsi per sognare.

Nonostante le attuali tecnologie disponibili per l’incisione di un disco, la storia degli Skiantos oggi avrebbe dell’incredibile: un gruppo totalmente scoordinato di cantanti e musicisti, muniti soltanto di qualche testo si trovano una sera a casa del tecnico del suono Gianni Gitti (che il giorno dopo avrebbe mixato il primo pezzo di Vasco Rossi) per incidere il loro primo 33 giri, Inascoltable; siamo nel 1977, in un momento di grande fermento politico sociale e culturale; avere vent’anni nell’Italia di allora era fantastico, dicono i componenti del gruppo, e le cose bastava volerle fortemente per far sì che accadessero.

Nel gruppo originario non c’era un vero e proprio progetto; non c’erano nemmeno i musicisti, e quelli che si ritrovarono a casa di Gitti non si conoscevano tra loro, ma erano capitati lì attraverso il tam tam e il passaparola di qualcuno (tra questi il bassista Ringo Starter, che in quell’album suonò soltanto l’introduzione e un altro brano). Eppure in otto ore riuscirono a produrre un’atmosfera magica che “addirittura le stonature e i fuori tempo erano un capolavoro”.

Biografilm Festival: “Tutto in una notte” di Emanuele Angiuli
Dal punto di vista musicale Inascontable forse poteva davvero considerarsi inascoltabile, ma era nel testo tutta la sua modernità: concettualmente Freak, guida del gruppo e autore dei testi, aveva preso la realtà e l’aveva manipolata in chiave demenziale attingendo dal linguaggio popolare e dal gergo giovanile: in Italia c’era una libertà creativa, un fermento tutto da vivere, era in atto una vera e propria rivoluzione del linguaggio portata avanti anche grazie alle radio libere e allo scambio di idee che avveniva per le strade e nelle piazze (non c’erano i social network, ma la comunicazione era sicuramente più diretta). Il clima politico non era dei migliori, ed era attraverso la dissacrazione dei meccanismi del sistema che gli Skiantos tentarono di alleggerire quel clima cupo, Karabignere Blues ne è un esempio.

L’avventura di quella notte bolognese dà il la alla carriera musicale degli Skiantos che da oltre 35 anni trovano nella provocazione un punto di incontro con il pubblico (“largo all’avanguardia pubblico di merda tu gli dai la stessa storia tanto lui non c’ha memoria”) sperimentando il linguaggio della collettività giovane sotto forma di parodia che la linguista e italianista Maria Corti analizzò accuratamente sulla rivista Alfabeta, esaltandola come novità letteraria. Il testo è per gli Skiantos il punto di partenza di tutta la loro produzione: erano le parole che regolavano tutto quello che sarebbe venuto dopo, musica compresa.

All’inizio degli anni Ottanta iniziano i primi dissapori per questioni di leadership; Freak, storico autore e ispiratore (la cui storia viene raccontata dallo stesso regista nel documentaro Biografreak) lascia la band che si avvia ad un evoluzione, specialmente per quanto riguarda la parte musicale; ma resteranno sempre comunque contraddistinti dalla voglia di demolire quella mentalità necessaria per stare sul mercato delle musica.

Intervistato a fine proiezione, Emanuele Angiuli ribadisce l’intento del documentario, quello di mostrare la volontà di un gruppo di persone “con l’avanguardia nella testa”, capaci in una notte di portare avanti un progetto incredibile.

Ad Angiuli viene inoltre chiesto un parere sulla situazione del cinema documentario nel nostro Paese: il regista fa un rapido excursus della televisione dagli anni Settanta ad oggi: quarant’anni fa avevamo un modello di televisione la cui qualità era molto invidiata, al pari alla BBC, e il documentario era un genere di divulgazione molto apprezzato. Da quando si è votata e voltata all’aspetto puramente commerciale anche il genere documentario è caduto in disuso; come sono caduti in disuso le forme di dibattito che accompagnavano il teatro popolare e il cinema (si pensi ai cine-forum); la colpa della televisione è la mancanza di volontà nella divulgazione di un genere che fa fatica ad emergere perché non è commerciale, perché non fa ridere, e si rischia di far pensare e far riflettere gli spettatori; e non basta la vittoria di un documentario all’ultima Mostra Cinematografica di Venezia se manca la volontà degli operatori culturali a divulgare questo genere.

Anna Quaranta


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