Cerco di farmi perdonare l’assenza recuperando del tempo, scrivendo sull’ultimo film che ho visto venerdì al cinema. Si tratta di Birdman o (L’imprevedibile virtù dell’ignoranza), l’ultimo vincitore alla Notte degli Oscar, avvenuta tra domenica e lunedì scorso.
E’ un lavoro del quale non avevo visto niente e non ricordavo che il regista fosse Alejandro González Iñárritu, lo stesso di 21 grammi (2003) e Babel (2006).
La storia di Birdman è molto semplice e ha un soggetto calibrato su tre punti:
a) la creazione dei supereroi inseriti nel cinema che hanno ridotto in poltiglia il mercato della cinematografia americana (e mondiale);
b) la svalutazione del teatro e dell’attore;
c) la disperazione da consumo individuale quando l’onda della celebrità termina e l’egocentrismo/narcisismo inizia a produrre mostri svuotati della propria natura.
Proprio su quest’ultimo punto la sceneggiatura è strutturata in una crisi, quella di personaggio consumato dalla propria finta coscienza, interpretato da Michael Keaton. Il suo flusso mentale è inflazionato e bloccato da un successo che lo ha devastato, da una mediocrità dilagante, da una popolarità facile, arrivata grazie alla massiccia introiezione delle culture invasive che hanno plasmato l’immaginario collettivo nell’immaturità.
Il disagio che si avverte non trasporta lo spettatore nell’insieme della realtà filmica. Lo pone piuttosto nella condizione di una riflessione profonda.
La differenza si nota subito con l’arrivo Edward Norton. Egli rappresenta l’anima del teatro, il grande artista che si riversa nella sua opera, dopo un lungo cammino di elaborazione maturato grazie a uno studio serio di pratica, esercizio, frequentazione e letteratura. L’anima in lui ha vinto sul resto, poiché in tutta la visione si riesci a intuire quanto egli abbia messo in discussione la propria persona più che la star costruita, concentrando la sua attenzione nella propria unicità, ricca di mille sfaccettature e problemi, derivanti alla propria vita.
In questo progetto, le concatenazioni micidiali che si instaurano, sono concentrate molto sull’uso che certi ruoli rivestono nella costruzione dei ruoli nell’arte. Non è da sottovalutare la presenza di un critico feroce che, con la sua ferma presenza, riesce a provocare reazioni e spintonare i soggetti al meglio. Non è da minimizzare il breve focus sui ruoli femminili, spesso accantonati o messi in secondo piano rispetto al resto.
Tutto si svolge a Broadway, in una messa in scena per uno spettacolo dedicato a un’opera di Raymond Carver, What We Talk About When We Talk About Love.
Consiglio di vederlo.
Il finale è indicativo.
Teaser:
Locandina:
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