Di cosa parliamo quando parliamo del cinema di Inarritu?
Stilisticamente impeccabile, gonfio di tristezza e invettive nei confronti del mondo dello spettacolo (con Hollywood in prima fila), Birdman (The Unexpected Virtue of Ignorance) è decisamente un consistente cambio di rotta per il regista messicano Inarritu. Abbandonate le schizofrenie di montaggio, l’autore abbraccia il piano sequenza e restituisce allo spettatore un prodotto claustrofobico, oppressivo e ossessivo.
Riggan Thompson è una star che ha raggiunto un’elevatissima popolarità nel ruolo di Birdman, un supereroe alato. Ma la celebrità non gli basta, Riggan vuole dimostrare di essere anche un grande attore. Per questo motivo riadatta e mette in scena a Broadway un racconto di Raymond Carver. Nell’impresa verranno coinvolti la figlia ribelle Sam, l’amante Laura, l’amico produttore Jake, un’attrice superficiale che sogna da quando è bambina di calcare il palco di Broadway e Mike, un attore arrogante e cinico, che cerca la “verità” nel teatro.
Inarritu non risparmia nessuno e costruisce una commedia agrodolce (nera per certi versi) d’intensa vitalità. Nonostante l’eccessiva lunghezza (le due ore si sentono tutte) e la moltiplicazione dei finali, Inarritu inanella temi e li sviluppa, destinando sufficiente spazio a ogni suo interprete. Un film (riempito a dismisura di atteggiamenti negativi e di sofferenza reale o da “palcoscenico della vita”) che probabilmente mette in fila le migliori caratterizzazioni personali dei singoli attori e che trova in Michael Keaton (i rimandi alla figura di Batman, da lui interpretata e che gli ha portato enorme successo, sono automatici) l’ideale protagonista e vero e proprio mattatore del circo di Inarritu. Costantemente alla ricerca della fama ormai perduta, sopraffatto dall’ego e dalla follia, il personaggio interpretato da Keaton (un attore sessantenne che tenta di rinascere dalle proprie ceneri di specialista in blockbuster hollywoodiani, attraverso uno spettacolo in scena a Broadway) è il triste riflesso di una professione che si guarda allo specchio e non si riconosce più, che deve necessariamente dare più risalto ai follower su Twitter e sui social network piuttosto che agli applausi che scrosciano in sala. È su ciò che Inarritu costruisce Birdman (The Unexpected Virtue of Ignorance), sulle ceneri di una società sempre più culturalmente impoverita, che si è “venduta” all’ “apocalittica pornografia” hollywoodiana. Ma tutto ciò è quello che si respira nel sottotesto della pellicola, che in superficie esibisce un percorso di redenzione scontato quanto illuminante, che sottolinea la costante ricerca di una fama ormai perduta attraverso battute brillanti («ormai sono diventato una domanda del Trivial Pursuit» e «la fama è la cugina zoccola del prestigio») e una messa in ridicolo corale del mondo dello spettacolo prettamente altmaniana. Perché Inarritu mette in scena un gruppo di personaggi ridicoli, cinici, negativi e spocchiosi; un’istantanea di un backstage desolante e tristemente iper-realistica.
Birdman (The Unexpected Virtue of Ignorance) ostenta l’invettiva nei confronti dello spettacolo e tutto ciò che gli ruota intorno (addetti ai lavori, critici e fan) e l’infelice parabola di un uomo che per sentirsi sé stesso deve cucirsi addosso i panni di un personaggio (un supereroe in grado di volare e di sentirsi superiore rispetto al resto dell’umanità) e clonarne le gesta e l’atteggiamento nei confronti della vita (azione e sangue). Inarritu ne pesa fragilità, contraddizioni, delusioni di vita, vulnerabilità e quell’instancabile convinzione di credere di essere un artista. Confrontarsi con la dura realtà non sarà facile.
Triste e agrodolce apologo stilisticamente perfetto, Birdman (The Unexpected Virtue of Ignorance) entra ed esce dalla finzione recitativa, sale e scende dal palco ed esibisce una vicenda dai risvolti ambigui, che spicca il volo (con la fantasia), ma che successivamente si sfracella sul marciapiede. Un film verboso e metaforico, virtuoso e ridondante, surreale e vitale. Un deciso cambio di rotta per Inarritu, che si diverte a inseguire piuttosto che a costruire puzzle imperfetti e che decide di far sorridere (amaramente), lasciando una strana sensazione di triste consapevolezza nella mente dello spettatore a fine visione, spiazzandolo definitivamente. Un escamotage riuscito, che però si porta appresso qualche perplessità di troppo.
Voto: ***1/2