Secondo film della settimana girato da una donna, dedicato a una donna e rivolto soprattutto (non solo) a un pubblico di donne: E adesso dove andiamo, diretto e interpretato dalla bellissima Nadine Labaki, al secondo film dopo Caramel. L'altra volta c'erano le frequentatrici di un salone di bellezza, le loro storie di tristezza e di resistenza, di amore e di rinuncia, e i toni erano agrodolci, compassionevoli, con la fragranza delle femminilità a porsi come sguardo alternativo sulla realtà. Ce n'era già per lasciar perdere, ma con un po' di indulgenza si poteva accettare. Con E adesso dove andiamo, però, la Labaki si spinge oltre, allestisce un mondo ideale governato dalle donne e lo racconta come un musical a tratti comico, a tratti tragico: cinema d'autore che vuole essere popolare, insomma. Il set è quello di un villaggio delle montagne libanesi dove la guerra non è arrivata, dove cristiani e musulmani un po' a fatica convivono e dove tocca ovviamente alle donne tenere a bada gli animi surriscaldati degli uomini. Questi ultimi, anche quando sono seri e desiderabili, si scoprono comunque riottosi e fessi, mentre la popolazione femminile, dalle vecchiette alle vedove, dalle lavoratrici alle ballerine ucraine, è sempre un passo avanti la realtà per capire come girano le cose. Il modello - vecchio, vecchissimo - è quello di Train de vie, con la farsa che si sostituisce alla realtà per redimerla e il dramma che si fa commedia per comprendere il dolore. Anche in questo caso, considerando le necessità del pubblico, la sopportazione ci potrebbe stare: se non fosse che la sola scelta stilistica della Labaki consiste nell'immergere l'intero film in un bagno di birignao mediorientale, tra i toni calcati e i colori contrastati, la gente che strepita e che balla, i morti ammazzati e le vendette dichiarate ad alta voce, gli sguardi ammiccanti e la voglia matta di girare un metaforone sulle guerre di ieri, di oggi e di domani. La domanda del titolo, poi, è il tocco di genio, racchiude in una frase che più ovvia non si potrebbe il senso privo di senso di questo pazzo pazzo mondo: giusto per non lasciare nulla di intentato, giusto per spiegare tutto allo spettatore, ché non si sa mai che poi arrivi a casa e non sa più cosa ha visto.
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Secondo film della settimana girato da una donna, dedicato a una donna e rivolto soprattutto (non solo) a un pubblico di donne: E adesso dove andiamo, diretto e interpretato dalla bellissima Nadine Labaki, al secondo film dopo Caramel. L'altra volta c'erano le frequentatrici di un salone di bellezza, le loro storie di tristezza e di resistenza, di amore e di rinuncia, e i toni erano agrodolci, compassionevoli, con la fragranza delle femminilità a porsi come sguardo alternativo sulla realtà. Ce n'era già per lasciar perdere, ma con un po' di indulgenza si poteva accettare. Con E adesso dove andiamo, però, la Labaki si spinge oltre, allestisce un mondo ideale governato dalle donne e lo racconta come un musical a tratti comico, a tratti tragico: cinema d'autore che vuole essere popolare, insomma. Il set è quello di un villaggio delle montagne libanesi dove la guerra non è arrivata, dove cristiani e musulmani un po' a fatica convivono e dove tocca ovviamente alle donne tenere a bada gli animi surriscaldati degli uomini. Questi ultimi, anche quando sono seri e desiderabili, si scoprono comunque riottosi e fessi, mentre la popolazione femminile, dalle vecchiette alle vedove, dalle lavoratrici alle ballerine ucraine, è sempre un passo avanti la realtà per capire come girano le cose. Il modello - vecchio, vecchissimo - è quello di Train de vie, con la farsa che si sostituisce alla realtà per redimerla e il dramma che si fa commedia per comprendere il dolore. Anche in questo caso, considerando le necessità del pubblico, la sopportazione ci potrebbe stare: se non fosse che la sola scelta stilistica della Labaki consiste nell'immergere l'intero film in un bagno di birignao mediorientale, tra i toni calcati e i colori contrastati, la gente che strepita e che balla, i morti ammazzati e le vendette dichiarate ad alta voce, gli sguardi ammiccanti e la voglia matta di girare un metaforone sulle guerre di ieri, di oggi e di domani. La domanda del titolo, poi, è il tocco di genio, racchiude in una frase che più ovvia non si potrebbe il senso privo di senso di questo pazzo pazzo mondo: giusto per non lasciare nulla di intentato, giusto per spiegare tutto allo spettatore, ché non si sa mai che poi arrivi a casa e non sa più cosa ha visto.
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