La leader dell’opposizione in Myanmar Aung San Suu Kyi è fortemente convinta della propria vittoria in quelle che sono, negli ultimi 25 anni, le prime elezioni aperte a tutte le forze politiche.
“Maa Suu” (Mamma Suu): è questo il modo in cui il popolo si rivolge a Aung San Suu Kyi, chiedendole di guidarlo verso la democrazia. Missione ereditata dal padre, il generale Aung San, che lottò per l’autonomia della Birmania ma fu assassinato dagli avversari politici nel 1947. Da allora, San Suu Kyi combatte duramente per liberare il proprio paese dall’oppressione militare.
La lotta di Aung San Suu Kyi comincia nel 1988, quando dall’America torna a Myanmar, in cui la repressione militare nelle strade sta spegnendo la rivolta crescente. I dissidenti ripongono le speranze proprio in lei, che prende seriamente la propria responsabilità e decide di fondare la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld). Da allora, quindici anni di arresti domiciliari, il Premio Nobel ritirato da suo figlio Alexander nel 1991, la morte del marito Michael e i due attentati a cui è riuscita a scampare segnano per sempre la sua vita.
Nel 2008, i militari inseriscono nella Costituzione una clausola che esclude Aung San Suu Kyi dalle elezioni: serve più del 67% dei seggi parlamentari per emendare la Costituzione, il 25% è nominato direttamente dai generali. Nonostante questo ostacolo, i membri della Lega Nazionale per la Democrazia sono convinti di aver conquistato almeno il 70% dei voti. Secondo San Suu Kyi, però, è ancora troppo presto per festeggiare.
Il partito Unione della Solidarietà e dello Sviluppo, sostenuto dai militari, riconosce la vittoria del suo avversario. Htat Oo, leader del partito di governo del Myanmar ha ammesso che il suo partito “ha una più alta percentuale di seggi persi che di seggi vinti” e che “accetteranno ogni risultato”.
E.S.