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Quest’ultima canzone era stata scritta sull’onda dell’emozione provocata dalla notizia della morte di una cara amica della Equipe 84, che era stata comunicata alla band mentre stava per salire sul palco davanti a circa cinquantamila persone.
Poiché Guccini aveva scritto i primi pezzi quando non era ancora iscritto alla SIAE, essi erano stati depositati da altri autori. La pubblicazione di “Folk beat n. 1”, se da un lato ebbe scarso successo commerciale, valse a Guccini la prima apparizione televisiva.
Il 1 maggio 1967 Caterina Caselli invitò Guccini a partecipare alla trasmissione “Diamoci del tu”, che conduceva assieme a Giorgio Gaber. Per uno strano caso, nella stessa puntata, in cui Guccini cantò “Auschwitz”, fu ospite anche un altro giovane e sconosciuto cantautore siciliano, Franco Battiato, che eseguì “La torre”.
Per Guccini “Folk beat n. 1” segnò l’inizio di una carriera lunghissima, durante la quale ha scritto canzoni per sé e per altri, pubblicando oltre venti album. Inoltre ha composto colonne sonore, è scrittore di testi letterari, autore teatrale e attore.
Guccini è decisamente un autore “colto” che si occupa di varie discipline legate al linguaggio, come la glottologia, l’etimologia e la dialettologia. Per molti anni ha insegnato lingua italiana al Dickinson College, una scuola off-campus dell'Università della Pennsylvania con sede a Bologna. I suoi testi sono densi, caratterizzati da un uso sapiente del verso, da ascoltare più volte per essere compresi in tutta la loro ricchezza e complessità. Quasi sempre sono accompagnate dal suono della chitarra folk. Questo strumento, normalmente dotato di corde di metallo di vari spessori, consente di ottenere un suono deciso con bassi profondi e ricco di armonici.
Ciononostante Guccini, uno degli esponenti di maggior rilievo della scuola dei cantautori italiani, è molto amato dal pubblico di tutte le età, al punto da essere considerato un cantautore a cavallo di tre generazioni. Tra le sue numerosissime canzoni ce n’é una ambientata in una città magica e misteriosa, un crocevia di popoli e civiltà, a cavallo di due ere e di due continenti, Bisanzio, pubblicata nel 1981 nell’album “Metropolis”.
Su questa canzone è interessante ascoltare ciò che dice lo stesso Guccini (nel libro “Stagioni” pag. 181): «Strana canzone, una fra le mie preferite. Bisanzio città, civiltà, vive mille anni più di Roma, continua la sua misteriosa storia mentre da noi arrivano e vincono e si mescolano Goti, Longobardi e Franchi; un po’ il simbolo del nostro essere ora. Bisanzio come New York e noi fra la vecchia civiltà che scompare e una nuova, che non conosciamo, in arrivo. Noi come Filemazio; o soltanto una specie di fantasia personale.»
Il protagonista e io narrante di questa canzone è Filemazio, che così si presenta «Io, Filemazio, protomedico, matematico, astronomo, forse saggio…»
Filemazio osserva la città ai suoi piedi, dall’alto di una torre. La scena si svolge in una notte insonne, tra il sorgere della luna (“affogata in un colore troppo rosso e vago” che impedisce di vedere Vespero, la stella della sera), e la levata di Lucifero, la stella del mattino. In realtà si tratta della stessa “stella” ovvero il pianeta Venere, ma gli antichi credevano si trattasse di due stelle distinte. Siamo ai tempi dell’imperatore Giustiniano I, che ha sposato una ex prostituta e governa su un immenso impero multietnico…
Francesco Guccini, Bisanzio
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