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Bisogna avvicinare i giovani studenti alla poesia?

Creato il 17 dicembre 2010 da Sulromanzo

insegnante allieviDopo la prima e la seconda parte, concludo cercando di stimolare ulteriormente la vostra lettura.

Dimostrata la necessità e l’utilità sia di una esatta conoscenza del linguaggio poetico che della consapevolezza della libertà di cui fanno uso i poeti nell’indicare cose diverse con le medesime parole, Plutarco torna sul concetto di imitazione col quale dimostra che, essendo la poesia imitazione del reale, di necessità consegue che nei personaggi da essa creati il buono e il turpe siano mescolati insieme, come appunto accade nella realtà della vita.

La poesia, pertanto, non rappresenta sempre puri eroi di virtù, né in essi tutto è irreprensibile. Proprio per questo non a tutto ciò che il poeta dice o fa dire si può plaudire, né il giovane accetti tutto dai poeti senza rendersene ragione. E inoltre non si accosti alla lettura dei poeti con falsi preconcetti che potrebbero deformare il suo giudizio.

 

Non bisogna timidamente, come i superstiziosi nei templi, tremare e adorare tutte le cose, ma arditamente abituarsi a riprovare così i detti torti e sconvenienti, come ad approvare i diritti e convenienti (de aud. Poet. VIII, 26b)

 

Dunque non bisogna accettare nulla passivamente, bisogna rendersi ragione di tutto e, se necessario, bisogna contraddire le stesse opinioni dei poeti. Solo avendo tale capacità di discernimento e tale giudizio critico possiamo attendere senza danno alla lettura dei poeti.

Ma qual è il metodo da adottare per trarre profitto reale dalla lettura dei poeti, ossia per cogliere quanto c’è di utile e di educativo sotto i vari ornamenti dell’esposizione poetica?

In modo particolare bisogna soffermarsi sui passi poetici contenenti una saggia sentenza, un precetto morale. Infatti, come è bene esortare i giovani al disprezzo di ciò che è dannoso in un componimento poetico, così è altrettanto necessario e giusto che egli riceva ogni vantaggio da ciò che è buono, attraverso uno scrupoloso esame in ogni parte, sotto ogni rispetto del componimento stesso.

Prima di tutto allora si faccia attenzione a come il poeta rappresenti i “caratteri” buoni e cattivi, in modo che dal paragone scaturisca un insegnamento morale, come, per esempio, che l’essere modesti e umili è segno di gentilezza d’animo: apprenda allora a non cedere all’orgoglio eccessivo, come ad altre passioni, e a sapersi dominare in ogni occasione.

Insegnamenti di tal genere si potranno apprendere osservando inoltre come il poeta ponga l’uno di fronte all’altro, caratterizzandoli, non solo singoli uomini, ma popoli interi.

 

A questo punto Plutarco opera una specie di digressione per sferrare un nuovo attacco all’interpretazione allegorica sostenuta dagli Stoici, in particola modo da Cleante.

E avverte sulla necessità di percepire l’esatto significato di ogni singolo lemma risalendo all’etimo per così dire naturale e originale, senza cadere in giochi retorici.

Un esempio: Omero conferisce a Zeus l’attributo “ampioveggente”, dalla radice del verbo greco “vedere”, Crisippo l’intende “acuto nel discorrere”, evidentemente rifacendosi alla radice del sostantivo greco “voce”.

Così ammonisce Plutarco di fronte a tali sottigliezze:

 

Meglio sarà lasciare queste cose ai grammatici e insistere su quelle altre, ove risplende maggiore utilità e verosimiglianza.

 

Bisognerà poi abituarsi ad applicare tali sagge sentenze a situazioni analoghe e a generalizzarle, seguendo l’esempio dei medici che, compresa l’efficacia di una medicina, l’utilizzano per tutte le situazioni simili.

Quanto Euripide dice della morte, dunque, va riferito anche al dolore e alle malattie; e così per tutte le sentenze, una volta compreso di esse il valore universale, si abituino i giovani a trasferirle prontamente a ciò che è conveniente, esercitandoli con molti esempi e assuefacendoli a sottilizzare con l’ingegno; cosicché, leggendo, ad esempio, il rimprovero mosso da Ulisse ad Achille che se ne stava in ozio nell’isola di Sciro tra le fanciulle del luogo

 

Tu che fosti figlio del più valoroso greco, col filare la lana spegni la splendente luce della tua stirpe

 

essi siano in grado di comprendere che lo stesso rimprovero vale per ogni uomo dissoluto, incurante degli altri, ozioso.

 

Plutarco
Plutarco continua con altri esempi di tal genere, finché nel paragrafo 14 espone la suprema cura che si deve porre nel praticare, dinanzi ai fanciulli, la lettura dei poeti: bisogna cioè mostrare come spesso accada che nei componimenti poetici le affermazioni dei poeti si accordino con le sentenze dei filosofi.  

Una volta riconosciute dunque e scoperte sotto l’involucro delle “favole” le dottrine filosofiche, che saranno poi la nostra guida nella vita, la poesia uscirà dalla sfera del mitico e del teatrale e aprirà la mente del giovane ai discorsi filosofici.

Infatti, se verrà istruito dapprima nella poesia, il giovane non entrerà nel regno della filosofia digiuno e preso da stupore e smarrimento. Perché si verifica questo spesso, secondo Plutarco, che i giovani nell’educazione loro impartita dalle nutrici, dai genitori o anche dai maestri, apprendono da costoro le false opinioni intorno ai concetti fondamentali che riguardano la vita. Quindi si abituano a pensare e a credere secondo gli insegnamenti ricevuti e a ritenere, tanto per fare un esempio, che sono assolutamente beati e felici i ricchi, oppure che la morte sia qualcosa di spaventoso.

Al contrario, quando vengono a contatto con i precetti  filosofici, trovandoli contrari a quanto loro sanno e credono per averlo appreso da chi non aveva idee giuste intorno a queste cose, sono presi da stupore e smarrimento.

Essi, infatti, avendo dimorato a lungo tra tenebre folte, non possono tutto d’un tratto tenere gli occhi rivolti alla luce della filosofia, perché questa li abbaglierebbe. Pertanto è necessario passare gradualmente dall’oscurità alla luce, dall’ignoranza intorno ai concetti fondamentali della vita e del mondo circostante a un’esatta comprensione di essi.

Qui dunque si rivela la necessità di ricorrere a dei lumi falsi, cioè alla verità temperata con le favole, perché, abituati ad essa, i giovani possano senza timore affrontare la verità nuda e lo studio-maestro della Filosofia.

Dunque i vantaggi del metodo di Plutarco consistono in questo: che dopo una lettura dei poeti prudente e cauta i giovani avanzino verso la filosofia  con buona disposizione e familiarità.

 

In conclusione, la poesia per il Filosofo è solo mezzo di educazione. Risulta inutile cercare gli elementi artistici, dal solo punto di vista estetico: per lui l’arte ha come fine l’educare. Non che Egli non senta il fascino dei poeti e della poesia in quanto tali: la sua ammirazione per Omero, Pindaro e della poesia ellenistica lo confermano. Ma nella considerazione teoretica dell’arte Plutarco fu in primo luogo un moralista.

Quindi, pur non giungendo alla posizione estrema di condanna totale della poesia, pretese che essa si subordinasse alla filosofia (intendendo qui solo l’etica): poesia “ancilla philosophiae”.

Davvero ammirevoli e lodevoli sono in Plutarco il desiderio e la premura incessante di educare, di fare del bene; in questo uomo dalla cultura vastissima, che per i suoi contemporanei era “l’interprète autorisè du passè hellénique, de sa histoire, de sa religion, de sa morale, de sa science”.


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