“O grande Spirito dammi il coraggio per
cambiare le cose che posso cambiare, la pazienza per sopportare le cose che non
posso cambiare e la saggezza per distinguere le une dalle altre”(Preghiera Sioux)
Questa antica e bellissima invocazione attribuita ai Pellerossa ci
invita a riflettere sulla necessità di aprirci ai cambiamenti, premessa vera e
indispensabile per un futuro migliore, sia in ambito individuale che
collettivo. È anche la lezione basilare del Taoismo, il cui testo più famoso, l’I-Ching, è altrimenti noto come “Libro dei Mutamenti”. Il mutamento è
l’essenza stessa della vita, la sua forza motrice. Cambiare, tuttavia, è forse
la cosa più difficile del mondo. Richiede impegno, coraggio, fiducia. A meno
che non sia la disperazione a fomentare la volontà di farlo, a indurci a
lasciare la strada vecchia per la nuova. Nella canzone Come si cambia, Fiorella Mannoia ci ricorda che bisogna “cambiare per non morire”. In
questi ultimi giorni, segnati dagli scandali politici, dalla confusione dei cuori e dall’incertezza
economica e culturale, molti hanno parafrasato le parole della
Mannoia per sottolineare che il cambiamento nel nostro Paese non è più
differibile. Bisogna attuarlo, immediatamente, senza indugi. Ciò non vale tuttavia
solo per la realtà esteriore, per la povera Italia presa a sberle dai politici
truffaldini, dall’inedia di stato, dal trionfo dei lupi sugli agnelli e via di
seguito, ma riguarda ognuno di noi. Vale soprattutto nella sfera privata,
intima. Giustamente il guerriero Sioux chiedeva al grande Spirito di aiutarlo,
d’infondergli il coraggio necessario per cambiare. Ripeto, non è facile
distruggere le cattive abitudini, vincere la pigrizia, mettersi in gioco e
ricominciare da capo. Soprattutto in una società allo sbando, disumanizzata, cinica,
egoista e forse giunta al suo capolinea. Eppure, urge provarci. Occorre
iniziare da noi stessi. Il Mahatma Gandhi disse: “Sii il cambiamento che vuoi
vedere avvenire nel mondo”. Parole inequivocabili, sacrosante. Ma come possiamo
cambiare la nostra vita e in seguito la realtà in cui viviamo? Prima di tutto,
dobbiamo formulare la reale, granitica intenzione di cambiare. Non basta
vagheggiare il cambiamento, dobbiamo realizzarlo col pensiero intenzionale
dentro di noi. Dobbiamo essere certi, convinti, determinati a cambiare le cose.
Altrimenti, il mutamento non avverrà o nella migliore delle ipotesi sarà
effimero, transitorio. Torneremo a indossare i panni vecchi alle prime
difficoltà. Dobbiamo cambiare le cose che possiamo cambiare e non basta il
proposito, ci vuole la ferma intenzione che diventa azione. Al resto penseremo dopo.
Come chiedeva il guerriero Sioux, ci serve anche la pazienza per sopportare le
cose che al momento non siamo in grado di sopportare e il discernimento.
Bisogna saper riconoscere i nostri limiti e dosare gli sforzi. Possiamo
certamente cambiare il nostro atteggiamento verso la politica o l’economia ma
al momento non siamo in grado di cambiare una classe politica marcia e il sistema
bancario. Non abbiamo il potere di “scuoiarli vivi”, come diceva Anna, il capo dei
Visitors nell’omonimo sceneggiato televisivo. Ogni cosa a suo tempo,
magari. Può però confortarci il consiglio di San Francesco, che cambiò se
stesso prima di cercare di trasformare la sua città e la Chiesa. Il poverello
di Assisi suggeriva: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è
possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”. Non sono
semplici parole, belle da leggere ma difficili da mettere in pratica. Io ho
sperimentato più volte e con sorpresa che le nostre reali intenzioni, quando
sono energiche e associate all’azione, possono produrre risultati
inaspettati, cambiamenti profondi. È chiaro che la pazienza e la
saggezza invocate dal guerriero Sioux sono ingredienti fondamentali della
ricetta. La prima è il lievito, la seconda è la farina. Ma perché questa
materia prima il guerriero Sioux la chiedeva al grande Spirito? Ne era forse
sprovvisto? Siamo forse manchevoli di forza, pazienza e saggezza, per cui
dobbiamo farne richiesta? Il filosofo greco Eraclito sosteneva che non c’è
nulla di immutabile, tranne l’esigenza di cambiare. In effetti, questa esigenza
la percepiamo tutti, ne siamo condizionati al punto di essere perennemente
insoddisfatti, inquieti, delusi. Il problema, purtroppo, è che il nostro
desiderio impellente di cambiare noi stessi e le cose intorno a noi si scontra
col lato B della natura umana, fatto di paura, pigrizia, comodità, interessi.
Siamo dunque noi che spesso impediamo quel cambiamento radicale che a parole
vorremmo attuare. Vorremmo essere migliori, è ovvio, invece peggioriamo.
Vorremmo elevarci invece ci abbassiamo. Lo riscontriamo nel quotidiano, dove
siamo risucchiati nel vortice della mediocrità, nell’attendismo sterile, nell’apatia. Sono
tante le ragioni per cui la nostra intenzione di cambiare va a monte: la fatica
e il rischio sopra ogni altra cosa l’annacquano. In realtà, credo che a rendere
complicato il cambiamento sia soprattutto il timore di ritrovarsi soli,
incompresi, giudicati dagli altri. Abbiamo paura degli effetti collaterali più
che del salto nel vuoto. Fateci caso, a impaurirci sono soprattutto il giudizio
negativo e la possibilità di perdere il consenso, le amicizie, gli affetti e
quant’altro. Cambiare è un’incognita, un attentato alla nostra sicurezza. Di
più, è un’onda che può strapparci violentemente dallo scoglio al quale siamo
ancorati come mitili. Chi ce lo fa fare? Nondimeno, stiamo vivendo tempi duri in cui
appare indispensabile cambiare. Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare, il
nostro modo di vivere. Dobbiamo cambiare i nostri pensieri per produrre
un’energia nuova, diversa, positiva, conditio sine quanon per modificare le cose intorno a noi, per rinnovare la società e
rilanciarla verso nuovi orizzonti che al momento sono velati dalla nebbia. Va
da sé che il cambiamento è figlio dell’apprendimento e perciò dobbiamo imparare
di nuovo ciò che un tempo faceva parte del nostro codice etico, socio-culturale e
comportamentale. Di cosa parlo? Basta sfogliare l’elenco dei valori perduti per rendersi
conto di quello a cui abbiamo rinunciato: la buona educazione, il buon senso, il
rispetto, la capacità di sognare, l’intraprendenza, l’onesta morale, il pudore,
il timor di Dio, la virtù nelle sue molteplici sfaccettature. Per ultima, ma
non ultima, l’umiltà. Dobbiamo essere umili per confidare nel rinnovamento. È l’umiltà che induceva il guerriero Sioux a levare gli occhi verso il
Cielo, a impetrare il cambiamento associato alla sopportazione e alla saggezza.
Pur sapendo di avere in sé la potenzialità per cambiare, l’uomo delle praterie
chiedeva aiuto, umilmente, a chi stava sopra di lui. Dobbiamo imitarlo. Non è
indispensabile supplicare Dio Padre, Gesù, Buddha, Jahvè o Allah di concederci
l’aiuto che ci serve per cambiare le cose che vorremmo fossero diverse da come
sono. Possiamo rivolgerci al nostro Io, alla divinità che è in noi, allo
Spirito eterno che dimora nel nostro animo e a un tempo nel cielo, nel mare,
nelle stelle del firmamento. Facciamo parte del tutto, la potenza e
l’intelligenza del Cosmo sono dentro di noi. Ciò che conta veramente è formulare la nostra intenzione
e lanciarla nell’universo come fosse una bottiglia di vetro affidata all’Oceano.
Qualcuno la troverà e il resto verrà da sé, purché l’intenzione sia forte e
sincera e alimentata dalla coerenza.
www.giuseppebresciani.com
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