Ci sono gruppi che vorresti non cambiassero mai, tipo i Black Breath. Partiti a bomba con un EP micidiale (Razor To Oblivion, che vi consiglio di recuperare) al quale sono seguiti due full uno più bello dell’altro, questi americani hanno portato una ventata di freschezza in un panorama, quello death/thrash, saturo di gruppi inutili. Arrivati al traguardo del terzo full con il qui presente Slaves Beyond Death possiamo notare come siano cambiate diverse cose. Se questo sia un bene o un male sta a voi deciderlo.
Subito dopo aver premuto play ho subìto un deja vu grosso come una casa. Sì perché mi sono tornati in mente i Tribulation: partiti anche loro come ottima band di canonico death metal e poi trasformatisi in… Boh, qualcos’altro di comunque gradevole ma di natura molto diversa rispetto alla loro prima manifestazione. Un cambiamento simile ha investito anche i Black Breath. Il primo aspetto che salta all’orecchio durante l’ascolto di questo Slaves Beyond Death è una maggior attenzione all’aspetto compositivo a scapito delle legnate pure e semplici che predominavano nei lavori precedenti. Canzoni molto più dilatate, sia nella lunghezza che nel contenuto, fatto di mid tempo frequenti e rallentamenti al limite del doom. Le mazzate ci sono, non temete, e sono pure parecchie, ma indubbiamente un approccio così ragionato si adatta poco al contesto generale che, a parer mio, trovava la propria dimensione migliore in pezzi da 2-3 minuti sparati a mille piuttosto che in canzoni che sfiorano o addirittura superano i 6 minuti di durata. Detto questo, il disco complessivamente spacca i culi ma in un genere come il death/thrash, che fa dell’immediatezza la propria ragion d’essere, portare così tanta carne al fuoco rischia di precipitare il livello d’attenzione dell’ascoltatore a livelli veramente infimi. In fondo non stiamo parlando dei Dream Theater, non voglio essere costretto a focalizzarmi anima e corpo nell’ascolto di un disco che, fin dalla produzione stessa, reca come firma in calce la volontà di farti staccare la spina per una mezz’ora senza troppi sbattimenti e che invece si rivela ben più complesso di quel che dovrebbe essere. Insomma un lavoro dignitoso ma dalle pretese troppo elevate. Fosse durato la metà, sarebbe stato un altro gioiello al pari dei suoi predecessori.