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Blacklands, di Belinda Bauer

Creato il 26 dicembre 2011 da Annalife @Annalisa

Blacklands di Belinda BauerHo letto il libro in e-book, e l’ho letto gratuitamente, dato che la casa editrice (Marsilio, quella, per intenderci di Stieg Larsson), distribuiva uno, tra due titoli, ai primi cento bloggers che ne avrebbero fatto richiesta e che poi avrebbero recensito il libro stesso. Io l’ho richiesto, l’ho avuto nel giro di una giornata e l’ho letto, per poi farne la recensione. Ecco, questo è quello che ne penso (depurato come sempre da qualsiasi accenno troppo preciso alla trama, perché è più forte di me, non riesco a dirvi che l’assass).
Allora, vediamo: siccome è nella collana “farfalle” della Marsilio, vi aspettate il giallo; siccome è pubblicato nella collana di Stieg Larsson, vi aspettate anche un po’ di noir e di cupezze; siccome è un esordio, vi aspettate anche qualche ingenuità.
C’è tutto questo, in “Blacklands”, e c’è dell’altro.

Intanto, la storia, dove delitto e colpevole non hanno bisogno di svelarsi a poco a poco, e fin dalle prime pagine saltan fuori senza esitare. Ma il delitto è vecchio, la morte è lontana e il colpevole è in galera, così che tutto è filtrato dalle letture, dai pensieri e dalle ossessioni di un ragazzino che, con cocciutaggine ma anche con coraggio e una buona dose di “adultità”, vuole saperne di più.
Insieme alla storia, le motivazioni del protagonista: vuole sapere per diventare, con un eroismo che sa molto di quotidiano e con una montagna di ingenuità, quello che salverà la propria famiglia dalla tristezza, dalla nevrosi, da una cupezza che non dipende soltanto da povertà e nervosismo e convivenze apparentemente mal sopportate, ma è legata a filo doppio con una lontana morte mai risolta del tutto.
Tutto questo, intrecciato con i mille fili che sostengono la vita di ogni giorno, la scuola, gli errori, i compiti, gli amici, i panini divisi a metà, i bulli del quartiere, il fratellino più amato, uno zio scomparso ragazzino, la nonna inquieta e in perenne attesa, la madre sola e irrisolta, il desiderio di un padre che forse si realizzerà e forse no. E anche se in questi risvolti famigliari e personali l’autrice pare essere più capace di dipingere il suo quadro, con tocchi lievi ma non per questo superficiali; con pensieri appena accennati ma rivelatori; con scene banali ma, alla fine, chiarificatrici; ecco, se qui la Bauer è sicura e convincente, è anche ammirevole la sua capacità di angosciare il lettore, nei primi capitoli, immergendolo senza bisogno di grandi effetti speciali in un’atmosfera lenta, ossessiva, fredda, preoccupante, che corre parallela alla vita di tutti i giorni. Allo stesso modo, è abile nel tracciare i lineamenti del carcere, delle sue celle, dei suoi riti più o meno abnormi, dei suoi abitanti (delinquenti, medici e guardie) senza mai eccedere, senza mai aver bisogno di effettacci, ma intanto rivelando delitti, motivazioni, e perversioni che vengono sfiorate, ricordate, suggerite, e appaiono agli occhi di chi legge attraverso le pupille deformate di chi, queste perversioni, le ama. Inquietante, anche qui.
Forse è per questo che, nella lettura, si tendono a dimenticare certi inciampi: il fatto che Steven, il dodicenne protagonista, ha spesso pensieri, atteggiamenti, scelte, astuzie e coraggio da adulto; e si può trascurare che il colpevole, oltre a lasciarci sulla pelle uno sgradevole e scivoloso senso di corruzione e anomalia, si comporti a volte in modo fin troppo ingenuo o fin troppo facilitato dalle circostanze.
Nel complesso, dunque, imperfetto ma da leggere.



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