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Regia: Ridley Scott Anno: 1982 Titolo originale: Blade Runner Voto 10/10 Pagina di IMDB Pagina di I Check Movies
E' la prima volta che do un dieci come voto. Non che abbia molta importanza, non sono un critico cinematografico, ma solo un amante dei bei film, della fantascienza e di ciò che ti emoziona profondamente. Potrei stare ore a parlare di Dick , di Hopper , di cyberpunk e di distopie. Così come di tutto ciò che ha preso ispirazione ed è divenuto grande grazie a questo capolavoro cinematografico che riesce ad ampliare il senso di un romanzo ed a scavalcare i limiti che la carta stampata ha. Superfluo affermare ancora che Blade Runner racchiude tutto ciò mi è più caro in termini di preferenze e gusti. Qui si va oltre al sentimentalismo malinconico ed ai ricordi di gioventù. Visto oggi o visto venti anni fa cambia pochissimo se non la percezione della maturità che può sprigionare lo scoprire nuove piccolezze di cui non ci si è accorti durante la prima visione. Partiamo da principio: le difficoltà iniziali di portare sul grande schermo un romanzo (Il Cacciatore di Androidi di Philip K. Dick) a mio avviso confusionario e poco elegante, è una scommessa vinta da Ridley Scott. Riesce infatti a migliorare tutto il migliorabile dando sfogo ad effetti visivi che ti entrano nella testa così come tutta la psicologia e la filosofia che racchiude. Ciò che salta subito all'occhio è l'ambientazione, ovvero una Los Angeles del futuro (vabbeh, siamo 2019) decisamente cupa, offuscata, piovosa, illuminata dalle onnipresenti luci al neon che sottolineano i vapori ed il fumo delle sigarette. Sembra davvero di essere all'interno di Nighthawks di Edward Hopper, non solo per i colori in contrasto, ma anche per quel senso di solitudine che l'antieroe (Harrison Ford) riesce a dare di sè. Un personaggio noir proiettato in quello che sarà la base per un futuro cyberpunk e distopico. L'intermittenza e l'alternarsi di luci ed ombre è soffocante, così come l'umido, il velo di nebbia e la sconfitta del genere umano di fronte alla devastazione che circonda gli abitanti della Terra. Troppi. E perdenti, in un modo o nell'altro, incapaci, ma soprattutto impossibilità ad emigrare negli extra mondi. Nonostante la predominanza degli scuri e del cupo, non esiste luogo che non venga raggiunto da esplosioni di luci: fari, insegne, cartelloni pubblicitari. La piramide della Tyrell è ormai un'icona che con la sua grandiosità esalta la città ultra moderna dove i reietti sopravvivono ed i padroni creano alternative di vita. Una sorta di grande omaggio a Metropolis sebbene qui il senso di oppressione sia dato più dall'ambientazione in sè, che dal rapporto tra lavoratore e padrone. Tutto questo per dare inizio ad un cult movie che cattura l'attenzione non solo degli appassionati di un genere ben specifico, ma anche chi si vuol godere un thriller psicologico ed adora l'azione ragionata. Deckard infatti, un ex poliziotto che incarna il tipico personaggio straziato di Dick: turbato, scontroso, incapace di scegliere definitivamente, deve dare la caccia ad alcuni androidi fuggiti sulla Terra. Questi sono modelli Nexus 6 (non a caso Google chiama i suoi prodotti Android, Nexus) molto sofisticati dotati di emozioni ma di una vita brevissima. Dopo quattro anni muoiono, per questo cercano il padre costruttore per porre rimedio al "bug" della longevità. Gli androidi sono pensanti ed hanno ricordi a cui accedere, non si sentono differenti dagli umani e il "cogito ergo sum" cartesiano per loro ha valore quanto lo ha per ogni essere senziente. L'aspetto filosofico e psicologico quindi "corre sul filo del rasoio" (Blade Runner) per quanto riguarda al sottile distinzione tra umano e non. Gli scenari che si aprono sono innumerevoli e Deckard si trova in situazioni più grandi di lui, anche dal punto di vista morale e della giustizia. Gli occhi rispecchiano l'anima? Sono innumerevoli le sequenze e le scene in cui gli occhi o le iridi predominano (attraverso il test Voigt-Kampff, ma non solo) e questa voluta scelta di Scott è ai limiti del feticismo regalandoci inquadrature e primi piani da brivido. Gli occhi sono protagonisti nascosti e non accreditati della pellicola. E' sempre attraverso di esse che succede qualcosa di importante e sono gli occhi ad essere martellati dalle luci confusionarie della megalopoli. A dare man forte agli effetti visivi ci pensa la colonna sonora di Vangelis, avvolgente e tetra: si amalgama alla perfezione allo stile noir presente in più scene. Un modello che sposa il moderno post elettronico con richiami agli quaranta. Unica scena in cui i colori stonano con tutto il film, è quella dell'unicorno nel sogno del protagonista: l'elemento più importante per poter mettere in dubbio la sua vera natura. Con l'origami finale ecco che tutto il mondo si capovolge. Siamo androidi anche noi, se neanche possiamo fare affidamento su ricordi, emozioni e sensazioni passate?
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