Romanzo “giovanile” di Stephen King, scritto nel periodo 1966-1973, quando – come scrive l’autore nell’introduzione – King faceva (usa proprio questo termine) e vendeva racconti dell’orrore per scollacciate riviste, ma era Richard Bachman “che scrisse una serie di romanzi che non volle nessuno“.
Partorito tra la fine del 1972 e l’inizio del 1973, “mi parve forte mentre lo scrivevo e mi parve una schifezza quando lo rilessi“. Così rimane sepolto nel cassetto per oltre trent’anni.
L’edizione che ho letto è stata pubblicata nell’ottobre 2007, nella biblioteca di Repubblica-L’Espresso, su licenza Sperling & Kupfer.
Blaze è il soprannome di un omone grande e grosso, un po’ ritardato, che mette in atto il rapimento di un bambino di sei mesi di vita. L’omone non è nato ritardato, lo è diventato dopo che suo padre – ubriacone – da piccolo lo ha scaraventato per ben tre volte giù dalle scale, riducendolo in fin di vita.
Blaze è uno dei rappresentanti di quella “varia umanità” americana nata e cresciuta nella povertà, nello sfruttamento e quindi nella violenza (anche nella sfiga, se vogliamo essere precisi), al quale la società a un certo punto volta le spalle e lascia sprofondare nella disperazione. Vissuto tra piccoli lavoretti e piccoli crimini, a un certo punto Blaze incontra George, che diventerà suo amico e suo compagno di truffe. E’ George “la mente”, perché Blaze è stupido, ed è George che ha l’idea del rapimento, ma viene ucciso qualche mese prima.
Blaze decide di avviare l’impresa da solo, anche se trova il modo schizofrenico di “consultarsi” con l’amico che non c’è più: gli parla, gli chiede consigli.
Il rapimento viene portato a termine e Blaze si affeziona pure al bambino, arrivando addirittura a immaginarsi una vita insieme a lui in un’isola tropicale. Ma in realtà non c’è alcuna possibilità che la sua impresa abbia successo, incassando il milione di collari richiesto alla famiglia per la liberazione del piccolo: braccato dalla polizia tra le nevi del New England (l’atmosfera ricorda un po’ quella di Shining, che verrà scritto cinque anni dopo), alla fine Blaze viene ucciso.
Il romanzo alterna questa vicenda alla – grama – storia del protagonista, dagli anni del collegio fino alla prigione. Alla fine quest’omone ci risulta simpatico, soprattutto nei suoi goffi tentativi di nutrire e curare il bambino.
Io ho sempre provato una naturale simpatia per Stephen King. L’ho sommamente apprezzato nella lettura de Il miglio verde, che consiglio spassionatamente, ma anche in quei suoi libri nei quali fa capolino quella parte “oscura e sconosciuta” di noi che, se prende il sopravvento, sono cazzi amari.
Completa l’edizione il racconto “Memoria“, uscito nel 2006 (“il seme da cui è cresciuto il romanzo intitolato Duma Key, pubblicato nel 2008″).
P.S.: lo so che gli spaghetti allo scoglio non c’entrano niente con il libro, ma c’entrano con la mia fame…