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Del regista Fernando Meirelles è sempre in attesa di essere visto City of God, che da anni riposa tra i vari DVD e che perfino Muze continua a consigliare imperterrito.
Il caso, o meglio la serata divano a cui l'influenza mi ha costretto, mi ha però portato prima davanti questo film non del tutto riuscito, non del tutto apprezzato (anzi) e non del tutto sensato.
Presentato a Cannes è stato infatti il fanalino di coda di quell'edizione, subendo molte critiche negative e finendo presto nel dimenticatoio.
Perchè?
Il problema sta un po' nella trama e nel suo sviluppo, un po' nella messa in scena di questa.
Ambientato in una metropoli non precisata e in un tempo non precisato, il film mostra il declino della società e soprattutto dell'umanità quando un'inspiegabile epidemia di cecità inizia a mietere numerose vittime.
Dal primo caso -un uomo al volante della sua auto che improvvisamente non ci vede più- alle persone che per prime lo hanno soccorso e cercato di aiutare, il "virus" finirà per contagiare sempre più persone, e per cercare di limitare i danni, il governo deciderà di metterle in quarantena all'interno di un ex manicomio.
La situazione si farà ben presto tragica: come possono dei ciechi improvvisi riuscire a gestire il loro carico emotivo oltre che la gestione politica, igienica, alimentare della loro prigione?
Fortunatamente, e inspiegabilmente, la moglie di un dottore non è stata infettata, e per seguire il marito si finge cieca diventando così una preziosa risorsa per l'uomo e soprattutto l'angelo che silenziosamente sistema le cose.
Ma tutto degenererà con l'affollarsi massiccio delle camerate, con tizi poco raccomandabili che ovviamente prenderanno il potere e inizieranno a razionalizzare il cibo, chiedendo in cambio denaro prima, donne poi.
Come per un The Walking Dead o un classico film apocalittico, l'essere umano si reinventa in caso di crisi, cambiando le regole e la società, non sempre in meglio. Le leggi darwiniane sul più forte prendono il sopravvento, e visto che non sempre il più forte è anche il più intelligente, non si può che aspettarsi il peggio.
Nel suo racconto, Meirelles lascia gran poca speranza, facendo dei suoi protagonisti (dei non proprio convincenti Mark Ruffalo e Julianne Moore e un'inquietante ma mal sfruttato Gael García Bernal) dei personaggi deboli che tireranno poco a poco fuori la loro personalità servendosi della violenza.
Ma se già la trama non brilla per originalità (a parte l'elemento cecità), quello che davvero risulta abbastanza fastidioso è la scelta di messa in scena del regista, con una fotografia che continua a passare dalla normale visione delle cose a un'accecante e biancastra illuminazione che rende la stessa Moore bionda e pallida all'inverosimile. In più, forse per assimilare meglio la visione dei protagonisti, le inquadrature sono volutamente tagliate, riprendendo sempre volti e persone di taglio in modo sfiancante.
La stessa narrazione, infine, appare insicura, con una voice over che si inserisce solo verso la fine del film e che appare quindi confusa e piuttosto inutile, portando ad un finale ancora più inspiegabile che non risponde a nessuna delle domande che naturalmente sorgono allo spettatore (perchè quest'epidemia? che fine ha fatto il governo? perchè la donna non è stata contagiata?) rendendo il film più che non riuscito o non apprezzabile, facilmente dimenticabile.
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