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Blog Tour Ira Domini: intervista doppia a Franco Forte e Niccolo’ Taverna

Creato il 18 settembre 2014 da Erika @erika_zini

franco forte - ira dominiE’ sempre un piacere quando noto in libreria un thriller storico firmato Franco Forte. Ricorderete che a luglio ve ne ho parlato (trovate l’articolo qui), è stata quindi immensa la gioia di rispondere sì, quando Giulia di Liberi di Scrivere mi ha proposto di partecipare al blog tour (sotto trovate tutte le tappe) e ancor di più quando mi è stata data la possibilità di avere ai miei microfoni virtuali, non solo l’autore (che ringrazio fin d’ora) ma anche il protagonista di Ira Domini, Niccolò Taverna che avevo già incontrato – si fa per dire – ne Il Segno dell’Untore. L’idea del tour ha avuto per me un valore aggiunto (ebbene sì), ovvero quello di poter approfondire la conoscenza storica di un periodo così lontano e così affascinante. In questo ricchissimo articolo, quindi, parleremo non solo con l’autore e il protagonista ma cercheremo anche di tracciare il contesto storico in cui è ambientato il romanzo, focalizzandoci sulla figura del Catelano, il medico legale dell’epoca. Interessante, vero? Allora… si parte!

Book summary

Il notaio criminale Niccolò Taverna è tornato. E con lui tornano i delitti e i misteri nella splendida cornice della Milano cinquecentesca. 1576, agosto, il caldo infuria ma Niccolò Taverna non può riposare e godersi la compagnia di Isabella Landolfi, bellissima, intelligente, indipendente. Anche questa volta deve fronteggiare due casi allo stesso tempo. Come se non bastasse la peste, infatti, un misterioso assassino armato di balestra va in giro a ridurre ulteriormente la popolazione di Milano. Le vittime sembrano scelte a caso, senza una logica, senza un movente. E arriva la notizia che dei banditi hanno sequestrato i figli di don Carlos de Alcante, ricchissimo nobile spagnolo, in rapporti con il governatore Guzman e la Corona. Rapitori e ostaggi sono asserragliati in un magazzino di pietre e sabbia sulle rive del Naviglio Grande, obbligando le autorità cittadine a bloccare, dopo quasi due secoli dall’inizio dei lavori, il flusso di materiali necessari alla Fabbrica del Duomo per la costruzione della cattedrale, fortemente voluta dall’arcivescovo Carlo Borromeo in persona. Il capo dei banditi, Lasser de Bourgignac, fa delle richieste assurde, è spietato, crudele e molto sicuro di sé. Anche troppo. E se ci fosse qualcosa di più di quanto appare? Con un ritmo di scrittura incalzante Franco Forte dà nuovamente vita al mondo di Niccolò Taverna e alle sue tecniche di investigazione all’avanguardia, sullo sfondo del grande scenario di una Milano oppressa dalla peste.

Ed ecco tutte le tappe del blog tour: 4 appuntamenti da non perdere!

IL CONTESTO STORICO

Ciò che colpisce subito dei romanzi di Franco Forte è l’accuratezza dello scenario che fa da sfondo ai romanzi. In Ira Domini ci troviamo a Milano nel 1576, in un caldissimo agosto; le prime avvisaglie che una terribile epidemia sta crescendo in città si è avuta solo un mese prima, in luglio, ma già all’inizio del mese più caldo si era capito che sarebbe stata grave e l’11 del mese venne conclamata la pestilenza.

Risguardi cartina Milano bastioni - piccola

Le venne assegnata anche un nome: peste di San Carlo perché il contagio si verificò proprio durante l’episcopato milanese di San Carlo Borromeo, il quale in ottobre indisse processioni a S. Ambrogio (3 ottobre), S. Nazaro (5 ottobre) e Santa Maria presso S. Celso (6 ottobre) per scongiurare la peste. Proprio lui aveva ottenuto l’estensione nel capoluogo lombardo del giubileo romano dell’anno precedente: ciò fu significativo proprio perché per questo motivo ci fu un’eccezionale affluenza in città di fedeli provenienti dalle località circostanti. Situazione che ha certamente favorito la diffusione della pestilenza: alcuni casi, infatti, erano già stati registrati a Venezia e Mantova.

Il giubileo durò quindi limitatamente perché in breve tempo la città fu “presa d’assalto” dalla peste, sconfitta solo nel 1597, non prima di aver contato oltre 17.000 vittime.

Vecchia Milano navigabile
La situazione del popolo era terribile, non si conoscevano rimedi per questa malattia e l’unica soluzione era quella di isolare gli ammalati in luoghi lontani dal centro abitato e annullare le attività sociali e commerciali per evitare contagi. E proprio per questo si decise di realizzare strutture adibite a raccogliere gli ammalati, i Lazzaretti, che però non erano luoghi di cura, non venivano prestati soccorsi, erano essenzialmente lasciati a loro stessi. Le precarie condizioni igieniche, tra l’altro, portavano più che ad una guarigione, a favorire il contagio. L’assistenza infermieristica era nulla, a parte i monatti, persone sostanzialmente immuni alla peste, che avevano il compito di trasportare gli ammalati dalle loro case ai Lazzaretti.

IL CATELANO

A proposito di aspetti infermieristici, in Ira Domini incontreremo anche il predecessore del medico legale che veniva chiamato “catelano” e aveva la funzione di registrare la causa di morte per tutti i decessi, e non solo per quelle sospette. «Dietro a quelle che potevano sembrare semplici e scarne registrazioni di morte, in realtà, c’è un obiettivo di vita – sottolinea Francesca Vaglienti (docente di storia medievale dell’Università degli Studi di Milano) -. Si tratta di annotazioni estremamente precise e minuziose, luminose aperture di squarci sul passato. Questi medici non si fermavano all’apparenza, e le prove sono molteplici, come quando, in un periodo di peste, si scoprì che una bambina era morta non a causa del virus ma di fame. La vita, dunque, è il vero filo rosso dell’attività dei catelani.» (tratto da questa intervista).

Secondo indagini racchiuse anche in un articolo accademico firmato da Francesca Vaglienti e Cristina Cattaneo (direttore del Laboratorio di antropologia forense di Milano), il catelano aveva addirittura un abbigliamento particolare; il nome, infatti, deriverebbe «molto probabilmente dalla veste che indossava a scopo profilattico; non era un camice ma un vero vestimento che doveva proteggerlo».

SUPERSTIZIONI

Il periodo storico e le epidemie hanno favorito lo sviluppo di numerose superstizioni, credenze popolari che, di volta in volta, avevano il “compito” di spiegare le cause o cercare di risolvere la terribile situazione. Innanzitutto, era opinione diffusa che la Peste fosse una sorta di punizione divina nei confronti dei peccatori, cosicché in alcune zone d’Europa (Germania) durante la peste sviluppata a fine ‘300 nacquero i Flagellanti: gruppi di individui che migravano di città in città autoflagellandosi per “riscattare” le malefatte umane. In realtà furono i topi a portare la peste in Europa, viaggiando nelle stive delle navi salpate dai porti del Mar Nero. Questa epidemia infuriò per tre anni e le vittime, si stima, furono 25 milioni, circa un quarto della popolazione europea di allora.

Laghetto Santo Stefano a Milano
Come già citato, anche i rimedi erano altrettanto fantasiosi: addirittura alcuni tra i più celebri medici dell’epoca attribuivano un grande potere protettivo a determinati amuleti, tra cui  si pensava che per evitare la peste fosse “sufficiente” indossare una cintura di pelle di leone, con una borchia d’oro puro sulla quale fosse incisa l’effige dell’animale.

In realtà la disperazione mista all’ignoranza faceva sì che ci si aggrappasse a qualsiasi cosa pur di trovare un rimedio, fossero anche erbe miracolose o riti pagani andando spesso anche contro la comune morale o addirittura il credo religioso che condannava qualsiasi pratica che non rispettasse i canoni da loro dettati. Tristemente nota è la caccia alle streghe che ha mietuto vittime innocenti per secoli.

***

Ecco un quadro senz’altro sintetico ma non lontano dalla realtà di una Milano che si apprestava ad affrontare una delle epidemie più devastanti della storia. Al suo interno, però, non si muovono soltanto i cittadini provati da questa malattia ma anche giochi di potere e tensioni politiche, tipiche dell’epoca storica e per questo ci troviamo davanti ad un’opera di fiction che però incontra la vita vera, la storia di un’epoca, di una città, all’interno della quale i personaggi compiono le loro missioni.

Interviste

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Il personaggio principale, che oggi avremo l’onore di intervistare, è Niccolò Taverna, un “uomo di giustizia” che in un periodo senz’altro problematico, è in grado di applicare la ragione e l’intuito (ma anche tecniche di indagini tanto reali quanto avveniristiche) ad una inflessibilità e ostinatezza innate per risolvere i casi nei quali viene coinvolto. Iniziamo quindi a parlare proprio con lui.

  1. Grazie per essere qui con noi. Il collegamento sembra essere disturbato, speriamo di riuscire a scoprire qualcosa in più su di lei. Innanzitutto, vuole presentarsi?

franco forte - niccolo taverna
Io sono Niccolò, figlio di Arrigo, il più grande notaio criminale di Milano, come attestano i numerosi casi criminali e di ruberie di cui è stato anima risolutrice. Mi pregio di avere imparato tutto di questo mestiere dall’uomo più arguto e inflessibile che il Ducato abbia mai conosciuto, e cerco umilmente ma con energia (l’energia dei Taverna) di seguire le sue impronte, per dare la caccia al lato oscuro delle persone e assicurare alla Giustizia i manigoldi che mettono in pericolo la serenità della nostra città.

  1. Lei è Notaio Criminale, cosa significa essere un “tutore dell’ordine” nella Milano di fine ‘500?

Come sempre e in qualsiasi luogo, il crimine è la pustola da cui spurgano le intenzioni malvagie delle persone insane, che vanno a discapito della brava gente. E dunque occorre erigere delle barriere a questa epidemia più pericolosa e più resistente di qualsiasi contagio naturale. Il Tribunale di Giustizia di Milano ha dato vita alla categoria dei notai criminali, addetti a indagare, perseguire e se possibile prevenire gli atti criminali, e noi cerchiamo con tutte le nostre forze di rendere merito alla prebenda che ci viene assegnata, per quanto ogni manigoldo condotto al patibolo sia, in fondo, poco più di una goccia sottratta a un mare che pare sempre in tempesta.

  1. Abbiamo conosciuto Isabella Landolfi, una donna bellissima, intelligente e indipendente. Una distrazione o qualcosa di più?

Lei è stata il mio angelo salvatore, è il lago di acqua limpida e cristallina in cui posso immergermi quando le tensioni sono così forti da rischiare di uccidermi. E’ la sola che non abbassa lo sguardo di fronte alla mia furia, l’unica che riesce non solo a tenermi testa, ma sa ribattere con merito e intelligenza ai dubbi della mia mente. Lei è luce e ombra, è giorno e notte. E’ la mia vita…

  1. Sento che il segnale se ne sta andando. Un’ultima domanda: ci lascia qualche indizio sulle piste che sta seguendo!

Milano è un calderone in continua ebollizione, e i casi criminali si susseguono senza sosta, a ritmo serrato. Difficile stare dietro a tutto, e dunque impossibile capire in quale indagine mi dovrò produrre nei prossimi giorni. Di certo so che è stato ucciso un mio caro amico, un capitano di porta, e che l’inquisizione, per mano di Giacinto Quercia, ha preso in custodia un uomo che ritiene colpevole, nei cui occhi ho però visto la luce dell’innocenza. Non sarà facile contrastare Giacinto Quercia e il potere oscuro che rappresenta, ma se è vero che mi chiamo Niccolò Taverna, figlio di Amerigo, allora posso assicurare che non mi darò pace, fino a quando la verità non farà giustizia di ogni prevaricazione.

  1. Il sottile filo col passato è saltato, speriamo solo possano arrivargli i nostri saluti in attesa di continuare a scoprire altre nuove entusiasmanti imprese.

Gra… a voi. I mie… sal… a tut…

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E’ ora per me un piacere, continuare la conversazione con Franco Forte.

  1. Ciao Franco e grazie di essere qui. Innanzitutto, so che i tuoi libri sono tutti meticolosamente documentati, a partire dall’ambientazione fino alle tecniche investigative utilizzate. Dopo Il segno dell’Untore sei tornato con Ira Domini a fine ‘500 nella Milano della Peste, proprio nei giorni in cui viene conclamata. Ambientazione perfettamente ricostruita: come hai fatto?

franco forte
Ricerca, ricerca, ricerca. Studio, studio, studio. Tutto qui. Parrebbe semplice, ma in realtà si tratta del momento più delicato e impegnativo nella realizzazione di un romanzo storico. Si deve raccogliere quanta più documentazione possibile (e io l’ho fatto per quasi dieci anni, riguardo alla Milano del 1500), leggerla, studiarla, assimilarla, e poi sfruttare tutta questa conoscenza per ricostruire un’epoca, una ambientazione, delle suggestioni e delle atmosfere in un libro che in realtà deve vivere di vita propria. Il che significa che bisogna sfruttare al massimo un dieci percento di ciò che si conosce, per fare capire al lettore che si è padroni della materia e che il mondo in cui si sta immergendo è perfettamente ricostruito, in modo concreto, realistico e plausibile, ma senza per questo seppellirlo sotto tonnellate di informazioni storiche inutili e inopportune. Un romanzo è un’opera di narrativa, deve saper quindi sfruttare la conoscenza a disposizione dell’autore per imbastire un contesto credibile, dopodiché i veri protagonisti restano i personaggi, in cui ci si deve immedesimare per viverne le emozioni.

  1. Nel romanzo ci sono indagini, storia e tensioni politiche tra rappresentanti delle forze cittadine: quanto è fiction e quanto è realtà?

Come dicevo, tutto il contesto storico deve sempre essere corretto, coerente e plausibile. Il che significa che alcune cose che ho inserito nei miei romanzi sono accadute realmente, e riportate come appaiono sui documenti storici. Altre sono derivate dal contesto, ma sono costruite in modo da essere perfettamente plausibili con la realtà storica in cui sono calate, anche se ruotano attorno a personaggi che possono essere di fantasia. In “Ira Domini”, per esempio, c’è un mix abbastanza equilibrato di personaggi esistiti realmente (Carlo Borromeo, il Governatore di Milano e altri) e altri di mia invenzione (fra cui lo stesso protagonista, il notaio criminale Niccolò Taverna), ma questi ultimi si muovono e agiscono come se fossero stati reali contemporanei dei personaggi presi dalla realtà, e se il lavoro è fatto bene il lettore non riesce a distinguere fra personaggi storici veri e inventati, e questo è il compito del narratore. Ecco dunque che il mio notaio criminale, anche se inventato (per quanto forse solo in parte…), ricopre una funzione che nel 1500 a Milano esisteva veramente, e dunque si muove e compie indagini allo stesso modo dei notai criminali del 1500 (su cui possiedo molte informazioni). E lo stesso può dirsi delle tensioni politiche fra Ducato, Chiesa e Santa Inquisizione. Il momento storico è stato ricostruito alla perfezione, anche se gli attori che lo hanno interpretato non sono, necessariamente, personaggi veri recuperati dai documenti storici. Fiction e realtà dunque si mescolano e amalgamano in un condensato unico e sempre coerente, per dare al lettore l’impressione di trovarsi davvero calato nell’epoca narrata.

  1. Niccolò Taverna è un personaggio decisamente originale, tanto straordinario quanto terreno, reale: ti sei ispirato a qualcuno di reale per i suoi tratti distintivi?

Certo, Niccolò Taverna rappresenta una categoria di funzionari tipica della Milano del 1500 (e di nessun’altra città o periodo) che agiva con grande autonomia e che rappresentava una sorta di figura unica con le caratteristiche di un moderno commissario di polizia, magistrato e tecnico della scientifica. Sfruttava conoscenze di tecniche di indagine criminale apprese sul campo che erano davvero all’avanguardia, e che sono state annotate dai funzionari del Tribunale di Giustizia di Milano, e che io riporto fedelmente. A parte le caratteristiche comportamentali e fisiche del mio Niccolò Taverna, che appartengono al mondo della narrazione, tutto quello che fa e le tecniche che mette in campo non sono frutto dell’invenzione, ma metodologie applicate veramente dai notai criminali dell’epoca. Come sempre, quindi, anche lui è in parte un prodotto della fantasia e in parte la ricostruzione di come operavano i notai criminali dell’epoca.

  1. Infine, lascio a te il microfono virtuale per raccontarci qualcosa cui tieni particolarmente di Ira Domini, un particolare, una scena, un personaggio da “tenere d’occhio”.

Mi piace sottolineare il meccanismo narrativo che si innesca in ogni nuova avventura di Niccolò Taverna, già avvenuto prima con “Il segno dell’untore” e adesso con “Ira Domini” (e che continuerà anche nei prossimi romanzi con questo personaggio): ogni volta Niccolò deve seguire due indagini parallele, sempre molto impegnative, e quando alla fine giunge alla soluzione di entrambe, per il lettore deve essere chiaro che non sarà ancora finita. Ecco infatti che l’epilogo dei miei romanzi non è altro che l’incipit del prossimo, con un assaggio della nuova indagine di cui Niccolò Taverna dovrà farsi carico. Perché in quell’epoca per i funzionari della Giustizia milanese la vita non era affatto facile, e gli atti criminali così diffusi che non ci si poteva permettere di fermarsi un attimo, nemmeno per respirare.

Prime due copertine Niccolò Taverna

Author

franco forte
Franco Forte, nato a Milano nel 1962, cura le collane da edicola Mondadori (Il Giallo Mondadori, Segretissimo, Urania). Molti dei suoi romanzi sono stati pubblicati da Mondadori. Tra i suoi i titoli: Gengis Khan – Il figlio del Cielo (2014), Il segno dell’untore (2012), Roma in fiamme (2011), I Bastioni del Coraggio (2010), Carthago (2009) e Operazione Copernico (2009). Ha inoltre lavorato per la televisione, come autore delle serie “Distretto di Polizia” e “RIS: Delitti imperfetti” e dei film TV “Giulio Cesare” e “Gengis Khan”.

Titolo: Ira Domini. Sangue sui Navigli
Autore: Franco Forte
Editore: Mondadori
Pagine: 288
Prezzo: E. 16,00 cartaceo (E.13,60 su Amazon) – E. 6,99 ebook
Data di uscita: 1° luglio 2014


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