La dicitura che compare sulla locandina di Blood, “Il nuovo Mystic River” (Hollywood Reporter), è frutto della cattiva abitudine di affibbiare delle etichette a un nuovo prodotto per favorire familiarità, stimolare associazioni che spesso si rivelano poco pertinenti, oltre che poco rispettose: non si vorrebbe essere accolti come una semplice variazione sul tema o come una copia un po’ diversa di qualcos’altro, se le intenzioni sono oneste. Come ci sono parse quelle di Blood.
Il film è infatti un tentativo riuscito, nonostante qualche scelta discutibile, di raccontare cosa succede quando non si riesce a reggere il peso di un segreto troppo torbido: uccidere un sospettato per vendetta e poi scoprire che è innocente. Joe (Paul Bettany) e Chrissie (Stephen Graham), infatti, sono due fratelli poliziotti che indagano sull’omicidio di una ragazzina. L’indiziato principale è il pregiudicato Jason Buleigh, del quale i due vogliono la colpevolezza, confondendo però il rancore e il pregiudizio – pur comprensibili, anche se non giustificabili – con il rigore di un’indagine. Joe e Chrissie sono diversi, complementari, e i caratteri dei loro personaggi si evincono dal modo in cui reagiscono agli eventi, e questo è un pregio della sceneggiatura: Chrissie è il più fragile, insicuro, ha bisogno di condividere con qualcuno le proprie ansie per non crollare; Joe è invece più freddo nella gestione dell’omicidio. È lui che decide di vendicarsi, di portare Jason sulle Isole, raggiungibili solo quando la marea scende; è in lui che vediamo agire più lento ma comunque inesorabile il senso di colpa. Qualcosa ci fa credere che i due, chi prima (Chrissie) e chi dopo (Joe) cederanno: non è difficile occultare un cadavere ma è impossibile occultarne per sempre le conseguenze. Soprattutto quando la rudezza, al limite della violenza, è un vizio familiare: il padre dei due, Lenny (Brian Cox), era a capo dello stesso dipartimento di polizia, circondato da parecchie leggende metropolitane sui suoi metodi per far cantare i colpevoli.
I due attori protagonisti, seppur mutilati dal doppiaggio, riescono in maniera molto onesta e molto convincente a immedesimarsi e far immedesimare noi nei loro personaggi. Anche ripensarli in ruoli diversi in cui apparivano realistici aiuta ad apprezzare la loro interpretazione genuina: basti pensare a Stephen Graham / Al Capone nella serie The Broadwalk Empire o a Paul Bettany / Charles Herman in A Beautiful Mind. Le scelte discutibili di cui sopra riguardano principalmente un aspetto solo abbozzato e poco approfondito del carattere di Joe: si introduce la sua ansia per le esperienze sessuali della figlia ma poi la si abbandona, liquidandola in una breve lite con il suo fidanzato. Poichè anche la vittima dell’omicidio è una ragazza adolescente, pigiare con più convinzione su questo tasto avrebbe significato più profondità, sebbene non più originalità. Il buon thriller medio, d’altra parte, è soprattutto gestione dei tempi narrativi piuttosto che trovate di fantasia.
Ecco la recensione su Cinema4stelle.
Paolo Ottomano