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Bloomberg "autocensura" un pezzo sulla Cina

Creato il 16 novembre 2013 da Danemblog @danemblog
Il New York Times ha rivelato che l'agenzia Bloomberg – di proprietà dell'ex sindaco di New York – avrebbe deciso di non pubblicare un articolo "fastidioso" per la leadership di Pechino.
Si trattava di un'inchiesta giornalistica che andava avanti da mesi e che avrebbe permesso di svelare le strette connessioni tra il governo e un miliardario locale. Prima dell'uscita ufficiale, gli autori del pezzo Michael Forsythe e Shai Oster, nonstante il via libera dell'ufficio legale dell'agenzia, hanno però avuto lo stop da parte del direttore Matthew Winkler. Winkler ha spiegato la decisione editoriale, come una scelta quasi forzata, per evitare il rischio di espulsione dei propri inviati dalla Repubblica popolare. È di questi giorni, infatti, la notizia che al reporter Reuters Paul Mooney è stato ritirato il visto per Pechino dopo 18 anni di lavoro nel Paese. Circostanze analoghe erano toccate per altro, ad alcuni corrispondenti del New York Times, mentre Al Jazeera si era trovata costretta a chiudere il proprio ufficio nella capitale.
La questione è però controversa, perché se da un lato è vero che il governo cinese sta diventando sempre più severo nei confronti di chi lo critica, d'altra parte sembrerebbe che la decisione di Winkler possa essere collegata agli interessi di Bloomberg nel Paese. Secondo quanto scrive il Nyt, non si tratterebbe soltanto di una decisione unicamente giornalistica – Winkler ha detto di aver studiato il comportamento dei media durante il regime nazista e di voler adottare una strategia simile per "sopravvivvere" in Cina. Ma la scelta di non pubblicare il pezzo, potrebbe essere anche un modo per evitare di danneggiare gli interessi dell'azienda nel Paese. Il business di Bloomberg è infatti molto più ampio di quello dell'agenzia di notizie in sé: il core è rappresentato dalla vendita dei terminal finanziari – computer che vengono forniti ai clienti dell’azienda per accedere ai servizi forniti, come l’analisi e il monitoraggio in tempo reale dei dati finanziari, la compravendita di titoli, flussi di notizie e altre operazioni finanziarie.
In questo l'esperienza avrebbe giocato un ruolo importante: nel 2012 un'inchiesta con al centro diverse famiglie potenti di Pechino (tra cui anche quella del presidente Xi Jinping), condotta dagli stessi Forsythe e Oster, aveva prodotto non solo la censura interna dei pezzi, ma la riduzione degli ordinativi dei terminal.
Nonostante il piano di riforme varato dal plenum del Partito comunista in questi giorni, e che coinvolgerà la Repubblica popolare per i prossimi dieci anni, la Cina resta comunque un paese controverso, in cui la libertà è limitata e labile. E non bastano l'abolizione della discussa "legge del figlio unico" e dei "campi di lavoro" - ai quali la polizia poteva spedire chiunque veniva arresta, senza la necessità di un processo - specchietti tornasole di un mondo che in realtà resta e resterà lo stesso, forse.
La vicenda di Bloomberg è emblematica per due ragioni: la prima - presa in buona fede se fosse una scelta unicamente giornalistica - racconterebbe di un paese illiberale, dove la stampa deve allinearsi, nascondersi, non essere scomoda, per sopravvivere: in questo, la direbbe lunga e chiara, il paragone di Winkler con la Germania di Hitler. Ma se anche ci fosse qualcosa di più dietro - l'interesse economico del principale degli assets aziendali, quel mercato dei terminali finanziari, che potrebbe, con le nuove riforme avere addirittura un incremento - si tratterebbe comunque di una storia che racconta di come pure le attività economiche, per non essere ostacolate, debbano simpatizzare il governo, evitare mosse scomode, non procurare troppi fastidi e non muovere troppo pensiero.
E poi si parla di apertura al "mercato"?!


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