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Girato nell’arco di pochi giorni e proiettato in cinema a luci rosse, Blue Movie supera nel complesso il precedente Spell (1977) dal quale, però, non riesce a scrollarsi di dosso quella luce oramai obsoleta di cui ho già detto. Alcuni temi vengono ripresi: c’è in primis l’eros, ovviamente sporco, anzi lurido con la violenza dello stupro e svuotato nella strumentalizzazione attuata dal fotografo. Poi c’è la predisposizione formale di sconfinare nell’allucinatorio, in sequenze fini a se stesse che lasciano l’interpretazione libera ad uno spettatore oltremodo frastornato.
Merito del film è quello di non essere dispersivo come il suo predecessore; escluse le riprese esterne dello stupro, tutta la storia è ambientata nello studio-casa di Claudio. Fin dove l’occhio lisergico di Cavallone s’intrufola c’è di che gioire per il nonsense sprigionato, ma qualunque riflessione, messaggio, urlo, eco sottotestuale si scioglie come un ghiacciolo a ferragosto nei trenta e passa anni che separano questo film dalla nostra contemporaneità.
Un po’ Borowczyk un po’ Jodorowsky, Cavallone sopperisce ai problemi finanziari con alcuni accorgimenti degni di nota. Diciamo che i tormenti di Dirce Funari sono resi in maniera apprezzabile grazie ad una struttura che ricalca in maniera personalissima aspetti hitchcockiani come la trasfigurazione dell’identità la quale, sempre secondo il modus operandi del regista, deflagra in un perverso delirio di personalità sdoppiabili (notare il fotografo che fissa il suo riflesso deformato su una lastra di alluminio) e intercambiabili (le due figure femminili al pari delle due maschili possono sostituirsi a vicenda). Nel tutto si incastra poi l’abbandono pressoché totale al pruriginoso per cui buona parte del film sarà costituito da scene in cui i protagonisti si avvinghiano nudi, e anche qualcosa di più, davanti alla mdp.
È ancora l’inattualità il sentimento che questo cinema mi suggerisce.
Vada per la riscoperta e ed anche la rivalutazione che sono operazioni archeologiche di un certo fascino, tuttavia nell’importanza che si deve dare al passato non si può non rivolgere lo sguardo all’incerto futuro. E Cavallone, come molti altri suoi colleghi del tempo, mi pare che al massimo possa contribuire a ricordare un cinema che c’è stato, ma non quello che verrà.
Un grazie a Giovanni per la segnalazione.
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