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Blues – Giuseppe Casa, 2012

Creato il 27 dicembre 2012 da Paolo_ottomano @cinemastino
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Il peccato originale di questa recensione, che è anche il giudizio più sincero sull’e-book Blues, è questo: l’ho scritta senza aver letto la seconda metà del libro

Non è la prima volta che scrivo una recensione al buio: mi era già successo al primo anno di liceo. Tornati dalle vacanze, avremmo dovuto presentarci dalla professoressa di lettere con la recensione di un libro, scelto tra quelli assegnati l’ultimo giorno di lezione. Il libro l’avevo anche comprato, ma l’ho letto solo due anni dopo. Alla cattedra, però, arrivai con dieci credibili righe su Il nome della rosa. Le avevo scritte al buio perchè sapevo che il libro mi sarebbe piaciuto, sapevo che l’avrei letto, non volevo leggere nessun altro degli altri – anche se molto più brevi. E poi era necessario, non volevo fare la magrissima figura di non aver letto nemmeno un libro durante tutta l’estate. Anche stavolta ho scelto di scrivere a sorpresa, ma per dei motivi opposti. Dispiace dirlo, ma Blues è un libro bruttino. A piccole dosi, ma costanti, contiene tutte le cose che odio in una storia e che associo automaticamente alla cattiva scrittura: marche inserite tanto per farlo, che vorrebbero creare atmosfera e delineare chiaramente un personaggio, ma che paiono come una bassa scorciatoia per non presentarlo coi fatti e, soprattutto, sono inutili. Che me ne frega se il protagonista si fuma una certa marca di tabacco invece di un’altra, se si mette certe scarpe, se questo non aggiunge niente alla storia? Una cosa ancora peggiore, però, è la farcitura di cultura popolare o anche alta, abbassata a merce perchè trattata proprio alla stregua di una marca di scarpe. “Mise un disco di Coltrane… amava Stairway to Heaven…”, o elucubrazioni sull’arte che non c’entrano poi tanto col personaggio e che, è innegabile, suonano come una dichiarazione autocompiaciuta di cultura da parte di chi scrive: perchè? Se tanti orpelli sono necessari, perchè non trovare un modo più nascosto, più necessario alla vicenda per inserirli? E non blaterare continuamente “conosco il blues, sono figo, ascolto jazz” eccetera eccetera? E perchè, per essere completi, non raccontare una storia, che non sia vagare da un letto all’altro, vomitare addosso al lettore i propri tormenti interiori e non fargli intendere nemmeno un po’ che qualcosa succederà? Che, poi, è l’obiettivo più difficile da raggiungere?

Senza giudicare le intenzioni di uno scrittore, che – dato che amo leggere e scrivere anch’io – spero siano sempre genuine, volte a divertire, far riflettere, raccontare o raccontarsi onestamente e umilmente: spesso, molto spesso, quello che rimane sulla carta ne è troppo lontano



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