Magazine Cultura
Quest’anno al B.Motion di Bassano del Grappa, sez di teatro contemporaeno dell'Opera Estate Festival, mi sono imbattuta nel racconto “noir” dei Fratelli Dalla Via con “Mio figlio era come un padre per me”; nelle fatiche fisiche di Ilaria Dalle Donne con “Alice disambientata”; nelle mini-biografie del Teatro Sotterraneo con “Be Legend!” e nel mondo di Nabokov tolto da Nabokov dei Babilonia Teatri con “Lolita”.“ALICE è sempre di proporzioni sbagliate, divisa perché ferisce, disambientata perché confonde, allontanata perché spaventata, arrabbiata perché fa arrabbiare…" - La preparazione atletica prevede disciplina, costanza, sviluppa forza fisica ma anche mentale. Plasma e modifica, il corpo si trasforma e cambia la testa.Ci troviamo di fronte Alice (Ilaria Dalle Donne), un’Alice che si sta preparando, cammina velocemente scandendo un quadrato preciso percorrendo l’ampiezza del palco delimitato da 4 fari, si toglie la felpa, si fascia i polsi, traccia a terra un percorso con uno scotch bianco (fa pensare al grafico di un pentagramma), inizia a saltare la corda. Alice on stage round 1,2,3, sono gli step in cui Alice si prepara, combatte, cade a terra e si rialza. Sola. Un percorso denso, carico di energia che prende sollievo e rabbia nel round finale intonando, da prima sottovoce, poi dolcemente, fino ad un crescendo di rabbia e dolore “everything is fine”. Alice ci da le spalle, cammina forse verso un prossimo round, il percorso è finito, il bianconiglio è morto - finora rimasto un tutt’uno col suo corpo - è arrivato il momento di lasciarlo andare, forse è arrivato il momento di andare avanti.I Fratelli Dalla Via ci portano dentro un altro mondo, il mondo della polenta istantanea, dei boeri e degli spritz. Il mondo di una generazione che ha fame, che è vuota, che vuole occupare la casa del padre. E’ la generazione che si trova in coda a quella che ha lavorato, quella che ha risparmiato e quella che ha sfondato. E’ un racconto forte, quello di “Mio figlio era come un padre per me”, parla di un argomento scomodo, di suicidi e di morte: la morte dei propri genitori.Il modo migliore per ucciderli? Facendogli morire un figlio. Cosi morirà schiacciato dai sensi di colpa e di crepacuore. In scena due fratelli (i Fratelli Dalla Via) cercano di capire, tra una partita di boero e l’altro, chi deve morire tra di loro. Tra battute e ipotesi (tutte in dialetto veneto) ipotizzano una morte “naturale”, un suicidio non suicidio.E come? Ammalarsi di pellagra, per esempio, potrebbe essere una valida soluzione! Si deve mangiare sempre o quasi solo polenta, meglio se istantanea (perché nuoce di più)! La morte arriverà ma ci vorrà troppo tempo. E se i genitori decidono di uccidersi prima che tutto ciò succeda?Un treno li porta via e con loro se ne va il “piano perfetto”, dove il traguardo è sottratto ai figli che non saranno mai all’altezza delle generazioni passate.
BE LEGEND!- Ma voi ve lo siete mai domandati com’erano da piccoli Amleto o Giovanna D’Arco? Se avevano altri sogni nel cassetto? Altre aspirazioni? E come vivevano? Giocavano come gli altri bambini? Avevano amici?Esilarante incursione nel minimondo di due personaggi storici che hanno fatto leggenda. Questo il progetto Daimon del Teatro Sotterraneo, ogni città, due puntate e due nomi, due bambini diversi, che in 24 ore provano a “incarnare” la personalità del personaggio preso in esame all’età di circa 10 anni.A Bassano è stato il turno di Amleto e Giovanna D’Arco. Unico elemento scenico: una casetta bianca posta alla destra del palcoscenico. Sara Bonaventura e Claudio Cirri sono i presentatori nonché interlocutori dei due giovani protagonisti, li introducono, li presentano, li raccontano, li accompagnano nel conoscere il destino che li attenderà. “Cosa vorresti fare da grande Amleto? Il giocatore di bocce o l’addestratore di cani”; “E tu Giovanna cosa vorresti diventare da grande? Una cantante o una scienziata”. Ovviamente sappiamo tutti che entrambi diventarono altro e sappiamo tutti che spesso ciò che da piccoli sono i nostri sogni quando diventiamo grandi ci ritroviamo ad averli persi. Se siamo fortunati teniamo sempre a mente le nostre passioni, se ci va male le accantoniamo e diventiamo ciò che la società si aspetta che siamo, ciò che i nostri genitori si aspettano che siamo, ciò che noi crediamo di essere. Teatro Sotterraneo ha la capacità di fare una ricerca innovativa, fresca e unica; ironici nel loro modo di mettere e portare in scena anche le situazioni meno semplici, con questo progetto lavorando anche con i bambini, in realtà hanno individuato una chiave di lettura che riporta il pubblico ai suoi sogni d’infanzia.La prossima puntata di Daimon sarà su Adolf Hitler e Oscar Wilde!
LOLITA “Quanti anni deve avere Lolita per essere Lolita. Per profumare di Lolita. Sono i nostri occhi a vedere Lolita. E’ la nostra testa a volere Lolita. Sono le nostre mani a immaginare Lolita. Lolita è un modello che la società impone. E’ una tentazione e un monito. E’ la voglia di giocare col fuoco e la paura di bruciarsi.”Arriva dal fondo della sala, Olga, sfreccia sopra al suo monopattino, fa due giri, poi sale sul palco. Un palco scarno, senza illuminazioni abbaglianti, senza “fronzoli”. Alcune caratteristiche cardine dell’estetica dei Babilonia rimangono: le parole scandite e non recitate (ma non urlate, ne pronunciate all’unisono) le cantinelle in bella vista, la musica sparata a volumi altissimi. C’è però un approccio più delicato, meno punk, meno aggressivo, più introspettivo. Valeria Raimondi e Enrico Castellani fanno un passo indietro, lasciando la scena quasi totalmente ad Olga (guidata dalla presenza discreta di Valeria), bambinAdolescente, lolita non lolita, alle prese con la crescita, gli sms scritti in un italiano improbabile, le dichiarazioni d’amore, le domande sull’esistenza, la fatica di crescere, il passaggio alle volte violento, spesso quasi improvviso all’età adulta. Rimane sul fondo la voglia di essere ancora leggere, come quando si è bambini, leggere come le bolle di sapone che aleggiano nell’aria e che ricoprono il palco e la platea, leggere, senza percepirle, leggere come il ricordo sbiadito di una lolita che è cresciuta, di una lolita che non c’è più.
[Articolo originale pubblicato nel Corriere dello Spettacolo, se volete darci una sbirciata leggetemi anche li, vi aspetto!]
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