4 giugno 1968: il senatore Robert Kennedy sta per arrivare all’hotel Ambassador di Los Angeles, dove terrà un discorso in seguito all’esito delle primarie democratiche in California. Sullo sfondo, le storie parallele di diverse persone che gravitano attorno all’hotel: José (Freddy Rodríguez), un cameriere costretto al doppio turno e quindi a rinunciare alla partita di baseball per la quale aveva già i biglietti; il suo capo razzista Timmons (Christian Slater) e lo chef afroamericano Edward (Laurence Fishburne); i giovani William (Elijah Wood) e Diane (Lindsay Lohan), che si sono messi d’accordo per sposarsi ed evitare la partenza di lui per il Vietnam; ma anche lo spacciatore Fisher (Ashton Kutcher), la parrucchiera Miriam (Sharon Stone) e molti altri.
L’inizio regala immagini di repertorio di Martin Luther King e della guerra del Vietnam, oltre a quelle di Bob Kennedy. Poi eccoci dentro all’hotel Ambassador, a seguire le vite di 22 persone. Emilio Estevez (fratello di Charlie Sheen e figlio di Martin) fa capire da subito il taglio che ha dato al suo film: non un normale biopic ma un racconto corale (sul modello di Altman) che si svolge tutto in una giornata, arricchito da inserti documentaristici, immagini dell’epoca, tra discorsi pubblici e sequenze riprese dai telegiornali. C’è anche molto Scorsese nella tecnica del regista, che dosa carrelli e piani sequenza, movimenti di macchina eleganti e mai eccessivi. Il cast è quello delle grandi occasioni, con i navigati Anthony Hopkins, William H. Macy e Martin Sheen, le redivive Sharon Stone e Demi Moore e le nuove leve Shia LaBeouf, Elijah Wood e Joshua Jackson. La colonna sonora è il valore aggiunto, opera dell’esperto Mark Isham (America oggi, Crash – Contatto fisico). In più il soul di Smokey Robinson, Stevie Wonder e Marvin Gaye, mentre Demi Moore reinterpreta Louie Louie di Richard Berry (ma resa celebre da gruppi come i Kingsmen e i Kinks). Pellicola onesta e accorata, soprattutto nell’ultima parte, anche se non ha la forza magnetica di Robert Altman o di Paul Thomas Anderson (a proposito di film corali). Commovente il discorso finale di Robert Kennedy sulle immagini che scorrono, appena prima dei titoli di coda e di una sequenza di foto in bianco e nero (alcune delle quali lo ritraggono insieme ai fratelli).