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boicottando quasi tutto

Creato il 15 ottobre 2011 da Gaia

Non è bello parlare di me ma io sto conducendo su me stessa un esperimento dell’economia che vorrei e la cui necessità e praticabilità iniziano ad apparire sempre più evidenti, e voglio raccontare di questo esperimento. Premessa vagamente numerica: sto ancora vivendo con i soldi guadagnati l’anno scorso con sei mesi di lavoro part-time, e poco altro, e mi mantengo da sola anche se non pago l’affitto. Questo ha un che di miracoloso. Ho ridotto all’osso tutte le spese eppure non mi manca niente – in questi anni ho trovato il modo di vestire bene, mangiare bene e andare in giro, senza pesare su nessuno e dando quello che posso. Sto cercando di creare partendo da me un’economia migliore, di cui non presenterò una teoria sistematica ma farò esempi. Ci sono anche contraddizioni, suppongo, ma tutti questi sforzi vanno grosso modo nella stessa direzione: voglio che la gente lavori meno e viva meglio, che si consumi solo quello che ‘serve’ più qualche sfizio, che si rispetti l’ambiente e il lavoro altrui, che l’economia e la politica tornino a livello locale dove i cittadini le possono controllare, che oltre a protestare contro la finanza le togliamo il terreno sotto ai piedi, che tutto quello che non possiamo capire o gestire direttamente esista il meno possibile, perché se no chissà cosa fanno e cosa prendono sopra alle nostre teste. Ho capito che anche il mio denaro e il frutto del mio lavoro mi danno potere su me stessa e sulla società, e voglio usare questo potere per costruire un mondo che mi sembra meglio di questo, non per permettere a chissà chi di diventare ricco.
Cominciamo con il più grande favore che credo di fare al pianeta: non possiedo un’automobile. Non inquino e non occupo suolo se non con la mia bicicletta, creo domanda per i trasporti pubblici (per cui conduco un’inutile campagna quasi del tutto solitaria da anni), mi mantengo in forma spostandomi (anziché spostarmi per andare a mantenermi in forma), dò il buon esempio, e risparmio denaro che si può spendere meglio… non l’automobile in sè, ma il possesso individuale dell’automobile, è uno dei grandi mali del nostro tempo – io non contribuisco, anzi saboto.
Se posso, uso roba già usata. Ho la fortuna di avere donne (e uomini) di gran gusto in famiglia: non sono la più piccola, ma eredito tutto io. Ho trovato nelle case di famiglia capi degli anni settanta più belli e duraturi delle porcherie che si vendono adesso, e li metto con orgoglio. La mia teoria del vestire è quanto di più attento ed elaborato ci sia, e meticolosamente ragionata. Non sopporto i vestiti di cattiva qualità: consumano risorse, si basano sul cambiare molto e avere tanto, e sono solitamente prodotti da operai che io non posso vedere né conoscere, probabilmente sfruttati; abbassano il livello di bellezza pubblica, durano poco e mi irritano la pelle. Invece metto roba vecchia, fuori moda, rattoppata, addirittura invece che riparare i buchi ho preso a ricamare sui loro lembi, così che li si veda ma non siano troppo brutti. Per me il buco non vuol dire: sono povera e sciatta, ma: credo nella decrescita. Purtroppo non vanno bene dappertutto: se rappresento qualcun altro oltre a me devo lasciar perdere, mi giudicherebbero male.
Metto quasi solo scarpe basse perché i tacchi sono belli ma impediscono alle donne di camminare a lungo e di essere libere di spostarsi e quindi libere. Metto gli scarpez perché sono una cosa nostra. Se posso vado dalla sarta che mi fa le cose su misura perché sono come le voglio io e perché lei stabilisce il prezzo del suo lavoro, e uno dei motivi, pochi, per cui vorrei avere più soldi è per sostenere il lavoro degli artigiani, soprattutto locali. Prendo nota di dove sono e dove lavorano, spesso stanno in montagna dove non c’è molto altro da fare se non turismo, e un giorno spero di dare loro un contributo concreto. Sto studiando il costume tradizionale friulano e non solo, perché come si riscoprono le tradizioni culinarie penso che si dovrebbe riscoprire anche un vestire comune e non globale e omologato, che dica qualcosa sulla nostra comunità oltre che su noi stessi.
Il mio arredamento è usato, i fogli di carta su cui stampo sono usati, le mie tazze sono usate. Siete mai andati ai mercatini dell’usato? C’è roba bella e c’è tutto. Non ho mai capito perché si producano ancora bicchieri: non ci sono abbastanza bicchieri già in circolazione?
Mi trucco niente o poco e soprattutto con quel poco che migliora anziché peggiorare, perché spesso vedo ragazze che sono peggio che se non avessero messo niente, e hanno speso anche soldi. Uso per il corpo solo i prodotti essenziali e più semplici, per ora mi va bene, so che l’olio di lino viene da un campo di lino mentre gli impacchi con mille sostanze dentro richiedono più industria.
Non fumo. I campi di tabacco potrebbero essere boschi. Mangio meno carne possibile, prendo cibo locale e di stagione, cerco di sapere tutto quello che posso su quello che mangio, e quest’anno ho chiesto di veder ammazzare un maiale, perché i salami non crescono sugli alberi.
Vorrei eliminare se possibile gli intermediari tra produttori e consumatori, essendone anch’io vittima ed esistendo l’alternativa di internet; non mi indebito con le banche e non investo: queste cose vanno bene per chi non può fare altrimenti, ma io posso, e come dicevo voglio ridimensionare la finanza e le altre cose potenti che non capisco non perché sono stupida o apatica ma perché pochissimi le possono capire eppure cambiano le nostre vite, e andare in piazza contro di loro va bene ma non basta. Pago le tasse ogni volta che dipende da me, cerco di impedire agli altri di evadere, anche se vorrei che questi soldi fossero spesi più qui possibile, non perché sono leghista ma perché voglio vedere cosa ci fanno (un sacco di porcate, tra l’altro).
Non compro nei centri commerciali perché deturpano il territorio e svuotano di senso il vivere in una città, e nemmeno nei negozi a nord di udine che si raggiungono solo in macchina e hanno parcegghi troppo grandi. Non prenderanno i miei soldi.
Il cinema mi mette in crisi perché voglio dare soldi alla cultura ma non voglio far diventare miliardari gli attori di hollywood, che poi predicano contro la miseria altrui ma hanno ville e jet privati. Nel dubbio spendo soldi per la cultura locale, quella che mi piace. Non compro merce di cui c’è la pubblicità, perché la pubblicità è invadente e fa lievitare i costi in maniera ingiusta: ognuno deve pagare per quello che prende e per qualcosa di comune, non per mandare in onda un programma di canale 5 o far stampare un quotidiano gratuito scritto coi piedi.

Baratto quello che ho, cioè i miei libri, cerco di dare una mano dove serve, se non posso dare denaro, faccio girare le cose prima di buttarle via. Ogni viaggio ha uno scopo e non è mai il turismo, cerco di non prendere aerei e auto, anche se i treni sembrano fatti per torturare la gente.
Risparmio energia in casa, stacco le spine, addirittura di notte mi muovo al buio come un gatto, anche se in centro città buio non è mai.
Questi sono princìpi, non sono vanti, anche perché non voglio essere antipatica, e perché c’è sempre il rischio di incoerenza, o alla fine rischi di passare per povero anziché per idealista, non che ci sia una grande differenza.
La gente non capisce perché hai un vestito da centocinquanta euro e sei di sinistra, io penso che dare alla sarta centocinquanta euro per il vestito sia una delle cose più di sinistra che ci siano, ripensando al discorso sull’alienazione che è l’unica cosa che ho capito di marx. Quello che non è dato gratuitamente deve essere pagato rispettosamente. Ho visto una volta operai protestare contro la delocalizzazione indossando vestiti dei cinesi. La gente non capisce perché vado al bar a fare la colazione ma dico che non ho soldi, forse perché fa bohemienne, penseranno, ma la colazione al bar è anche un modo di dire: io voglio vivere con calma, voglio uscire e vedere le facce dei miei vicini, non voglio ingurgitare in casa biscotti del supermercato, se posso farne a meno. La mattina è mia. Devo correre in banca? Che bisogno c’è di tutte quelle banche con tutta quella gente? Non prendo mai soldi in prestito!
Chi lavora otto ore al giorno, anche i miei amici, un po’ ce l’ha con me, lo vedo, loro faticano e io vivo meglio, eppure continuo a insistere che non tolgo niente a nessuno. Io saboto il lavoro degli altri, perché non consumo, e faccio un lavoro che è invisibile, lo scrivere, quindi sembra che non faccia niente se non minare alla base l’economia che se non va bene crolla tutto, però non consumo perché non voglio costringere nessuno a fare cose che non mi servono, e scrivo anche perché vorrei che vivessimo meglio, tutti.


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