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Boku no naka no otoko no ko (僕の中のオトコの娘, The Little Girl in Me)
Creato il 24 gennaio 2014 da Makoto @makotosterBoku no naka no otoko no ko (僕の中のオトコの娘, The Little Girl in Me). Regia, sceneggiatura e montaggio: Kubota Shōji. Fotografia: Negishi Ken’ichi. Interpreti e personaggi: Naoki Kawano (Kensuke), Kusano Kōta (Karen), Nakamura Yuri, Kawai Ryūnosuke. Produzione; Kikuchi Fueto. Anteprima mondiale: Montreal - Festival des Films du Monde agosto 2012. Uscita nelle sale giapponesi: 1 dicembre 2012. Durata: 100’. Girato in DCP.
Punteggio★★★1/2
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Nato nel 1974 a Miyazaki e formatosi come sceneggiatore, Kubota Shōji ha esordito alla regia con il mediometraggio Zoku (2006), un inquietante thriller psicologico. Il suo primo lungometraggio è stato Three Count (2009), una storia di riscatto morale ambientata nel mondo del wrestling. A esso ha fatto seguito Shitsuren satsujin (Lost Love Murder, 2009) che, tratto da un racconto di Edogawa Ranpō, è la storia di un uomo ossessionato dall’idea che la moglie lo tradisca. Crazy-ism (2011), infine, ripreso senza interruzioni nel corso di quaranta ore e ambientato in una palestra, narra di un drammatico conflitto interno a una banda di giovani malviventi che esplode dopo una rapina.
The Little Girl in Me riprende dell’opera precedente del regista l’attenzione al mondo degli outsider, a chi per qualche ragione vive un rapporto alienato col mondo che lo circonda. Protagonista della storia è il giovane Kensuke che, licenziato sul lavoro per una serie di errori commessi – come quando anziché cinquanta confezioni singole di crem-caramel ne ordina cinquanta scatoloni – finisce col rinchiudersi nella sua camera, deciso a non uscirne più. Il giovane diventa così un hikikomori, trascorrendo le giornate al buio davanti allo schermo di un computer. A preparargli e portargli i pasti, lasciandoglieli davanti alla porta della stanza, pensa la sorella. Con loro vive anche il silenzioso padre, che ogni mattina si reca al suo lavoro da impiegato. Un giorno Kensuke entra in contato col blog di un travestito, Karen, e varca così la soglia di un mondo a lui sconosciuto ma che forse più gli si addice di quello cui fino a quel momento era stato in contatto.
Il viaggio di Kensuke/Alice nel Paese delle meraviglie, ovvero nel mondo del travestimento, non è tuttavia un viaggio privo di ostacoli. La bravura di Kubota – regista ma anche sceneggiatore del film – sta in buona misura nella sua capacità di tratteggiare i contrastanti sentimenti del protagonista, le esitazioni e i sensi di colpa, le difficoltà di chi si ritrova a percorrere una via diversa da quelle più ortodosse che la società ti spinge a seguire. C’è l’imbarazzo della prima volta in cui ci si mostra a qualcuno in abiti femminili (prima ad altri travestiti, poi a coloro che invece travestiti non sono). C’è la paura del giudizio degli altri («Un NEET – che sta per “Not (engaged) in Education, Employment or Training” – travestito in una famiglia mono parentale», gli urla un vicino di casa che lo riconosce). C’è la difficolta di capire e di far capire che travestirsi non significhi per forza di cose essere anche gay. E soprattutto ci sono i sensi di colpa verso la propria famiglia: verso la sorella, che dopo un momento di difficoltà inziale gli sarà vicina, e verso il padre, il cui cammino sarà sì più difficile, ma anche risolutore. L’uomo, dopo un anche comprensibile rifiuto iniziale («Ti preferivo hikimori che gay») sarà proprio chi alla fine darà a Kensuke la forza di non abbandonare la sua nuova realtà e di continuare lungo quella strada che forse potrà liberarne il suo autentico modo di essere.
Scevro da stereotipi, attento nella rappresentazione del mondo del travestitismo, efficace nel tratteggiare le psicologie individuali, The Little Girl in Me è il film di un regista che sembra doveroso conoscere più da vicino. [Dario Tomasi]
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