La Bologna che esce dagli anni Settanta è una città stremata. È qui, laboratorio d’Italia, che nel marzo 1977 si “sperimentano” anche i carrarmati per strada e dove la gestione dell’ordine pubblico, ai tempi nelle mani dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga (ribattezzato intanto Kossiga), subisce un’impennata di quell’aggressività che il 12 maggio successivo farà registrare a Roma un’altra – l’ennesima – vittima, Giorgiana Masi. La Bologna che vive il battesimo del riflusso è sempre più lontana dalla “fantasia al potere” e dalle migliaia di giovani che alla fine del settembre ’77 si radunano per il convegno contro la repressione.
Bologna, sconvolta da un attentato che il 2 agosto 1980 provoca 85 morti a causa di una bomba piazzata alla stazione, nella sala d’aspetto di seconda classe, inizia a respirare l’edonismo che si diffonde anche in molte altre città e i suoi giovani cadono sempre più spesso nelle braccia dell’eroina.
La Bologna che viene travolta dai cosiddetti delitti del Dams respira ormai a pieni polmoni l’atmosfera degli anni Ottanta. E certa sua pubblicistica ha cominciato forse a invidiare un po’ un mostro che si aggira per la vicina Firenze e che uccide le coppiette.
Il delitto irrisolto di Angelo Fabbri
Quando scompare, Angelo Fabbri, originario di Cervia, ha 26 anni ed è uno dei più brillanti allievi di Umberto Eco, che da un paio d’anni ha conquistato la sua fama definitiva con il romanzo “Il nome della rosa”. Angelo ha deciso che Bologna diventerà la sua città, dopo la conclusione degli studi: qui infatti, da ricercatore, vuole tentare la carriera universitaria e sempre qui, per avere un appoggio più stabile, compra casa, un piccolo appartamento al pianoterra in via Mirasole, al civico 10.
La casa di via Mirasole 10 da cui scompare Angelo Fabbri
Ci fu un tempo che via Mirasole era nota per essere la strada dei casini. Era l’inizio del Novecento e i suoi tuguri venivano affittati per pochi soldi a donne più o meno giovani che tiravano a campare esercitando la professione più antica del mondo. Addirittura qui ci fu un delitto rimasto noto. Un delitto che risaliva al maggio 1921. Quello di un maresciallo dei carabinieri torinese, Pietro Biraghi, assegnato al battaglione di Bologna e attirato in quella via da una soffiata.
Il delitto del maresciallo Biraghi. Illustrazione tratta dal libro Bologna criminale di Giuseppe Quercioli
Quando Angelo Fabbri però acquista il suo piccolo appartamento la situazione è cambiata. Come tanti altri edifici del centro storico, anche lì sono stati ricavati alloggi destinati ai “fuori sede”, gli studenti che arrivano a Bologna per frequentare l’università e poi, spesso andarsene. Angelo no, invece, decide di restare e nell’appartamento che si affaccia su un cortiletto interno e sarà proprio questo il luogo da cui darà le ultime notizie di sé. È infatti il 30 dicembre 1982 e verso la mezzanotte telefona al suo migliore amico, Sandro Vaienti. La chiacchierata dura un po’, fino all’una e mezzo, e in quell’arco di tempo il giovane appare sereno e parla della notte di San Silvestro che vuole trascorrere con alcuni coetanei a Roma. Cosa accada però dopo quella telefonata non si sa esattamente.
In base alle ricostruzioni, sarebbe uscito di casa, ma nessuno nella palazzina del centro storico ha sentito nulla. Ciò che è certo è che il giorno successivo, il 31 dicembre 1982, due cercatori di tartufi vedono un corpo. Sono in Val di Zena, sugli Appennini che cinturano Bologna a sud, e su quel corpo – appureranno gli inquirenti – ci sono dodici coltellate, tutte alla schiena, inflitte da una lama di una trentina di centimetri. Sei di quei colpi sono mortali e la profondità delle ferite è differente, come se le mani fossero diverse. Peraltro, la disposizione sembra seguire una linea circolare.
Val di Zena, dove venne ritrovato il corpo di Angelo Fabbri
Per uccidere e buttare Angelo in quella zona, di certo, ci devono essere volute più persone. È un ragazzone, alto quasi un metro e 90 centimetri, e pesa più di cento chili. Inoltre indossa il suo impermeabile su cui però non ci sono segni. Dunque, chi lo ha assassinato, non l’ha fatto lì, ma forse in un luogo in cui si poteva rimanere in maniche di camicia nonostante le temperature rigide, e poi lo ha rivestito per gettarlo dove è stato ritrovato.
Le indagini si rivelano subito difficili. Lo stile di vita di Angelo Fabbri non sembra lasciar spazio a storie sospette e in un primo momento le attenzioni degli investigatori si indirizzano verso una giovane coppia, Mario e Maria Giovanna, amica quest’ultima tanto di Angelo che della sua famiglia. Su di loro la polizia ha alcune segnalazioni che risalgono a qualche anno prima: hanno partecipato al movimento del ’77 e di lei resta anche una fotografia mentre segue la bara di Francesco Lo Russo, lo studente di medicina ucciso in via Mascarella l’11 marzo, durante gli scontri con le forze dell’ordine.
Tornando al delitto Fabbri di fine 1982, i precedenti guai politici con la giustizia della coppia li rendono per qualche motivo i primi sospettati e il 6 gennaio 1983 entrambi vengono fermati. Ma hanno un alibi che regge alle verifiche degli inquirenti. Niente da fare, dunque. I due giovani tornano il libertà appena dopo e non ci sono altri elementi che possano indirizzare le indagini. Dirà ai giornali al termine dei funerali il professor Eco:
Escluso il movente politico perché [...] era fuori da quell’ambiente; esclusa la droga, escluso il delitto omosessuale perché Angelo non lo era, ed esclusa la rapina, io comincio a pensare che Angelo abbia messo inavvertitamente piede in un ambiente malavitoso: magari una storia con una ragazza, ledendo il codice d’onore del gruppo. Un delitto motivato da una vendetta organizzata. Angelo [...] era curioso, come d’altronde tutti questi studenti, e avrebbe avuto anche facilità, considerata la zona in cui abitava, a entrare in contatto, un contatto di curiosità, di rapporto umano, con certi ambienti notturni [...]. Una volta gli offrirono da bere della birra, lui disse di no e si prese un sacco di botte. Ecco, forse Angelo ha varcato la soglia del gruppo e lo hanno ucciso.
Cosa però accadde a quel giovane e chi erano i suoi assassini non si è mai saputo. Con il trascorrere dei mesi e l’avvicendarsi di altri fatti che racconteremo a breve, ecco che si inizia a parlare anche di un mostro che prende di mira gli studenti del Dams. Con il tempo si saprà che questo mostro non esisteva, fu una coincidenza che le vittime di alcuni crimini ruotassero intorno a quella facoltà universitaria. Tuttavia, dopo tutto questo tempo, non è ancora data una spiegazione a quelle dodici coltellate. A tutt’oggi il delitto di Angelo Fabbri è irrisolto.
I giornali iniziano a ipotizzare l’esistenza di un mostro a Bologna – Da Il Resto del Carlino
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