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Bologna è anche arte mescolata a poesia, nel ricordo di altrettanti protagonisti che hanno mosso pesanti passi all'interno delle sue mura.
La città di Bologna è ammirata, amata e (purtroppo) anche maltrattata; si ricorda troppo poco spesso la bellissima strofa della canzone "omonima" fatta dall'eccezionale cantautore Samuele Bersani:"[...]A Bologna i portici tengono in piedi le case/ hanno i reumatismi e le artriti di braccia operaie/ fingono di essere sordi e di non sapere/ chi sta prendendo la città/ a calci nel sedere [...]"
Portici con artriti date da momenti di grande freddo e precipitazioni, all'insegna di quel "zagno" che il dialetto bolognese riesce a definire meglio di qualunque "italianismo".
Con le precipitazioni nevose si aprono ogni volta dibattiti interminabili, nei quali si cerca ogni volta di puntare un dito: fra viali sporchi e spalaneve maldestri, sembra (alle volte a ragion veduta, nds) che nessuno riesca ogni volta a fare appieno il suo dovere.
Nonostante le lamentele, la neve rimane lì: bianca, impassibile, odiosa.
Resta e continua a cadere, minacciando poi di trasformarsi in ghiaccio alla prima occasione buona. Neve e ghiaccio su Bologna, dunque.
Può questa essere, forse, un'immagine anche poetica con cui (ri)valutare la questione neve?
Il margine di giudizio positivo è direttamente proporzionale al tempo libero di una persona: l'opinione del lavoratore sarà per forza differente dal bambino allontanato da scuola per ragioni dettate da cause di "forza maggiore".
Nonostante tutto, l'odiosa neve rimane lì: trasforma e "ricicla" la bellezza di Bologna, mostrandola sotto una sempre inedita veste...anche se (speriamo) per pochi giorni l'anno.
Può essere anche questa una forma di poesia? La tradizione ricorda, per fortuna o purtroppo, che questa è una domanda con risposta positiva:
"Surge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna, e il colle sopra il bianco di neve ride. E' l'ora soave che il sol morituro saluta le torri e 'l tempio, divo Petronio, tuo; le torri in cui i merli tant'ala di secolo lambe, e del solenne tempio la solitaria cima. Il cielo in freddo fulgore adàmantino brilla; e l'aer come velo d'argento giace su'l fòro, lieve sfumando a torno le moli che levò cupe il braccio clipeato de gli avi. Su gli alti fastigi s'indugia il sole guardando con un sorriso languido di viola, che ne la bigia nel fosco vermiglio mattone par che risvegli l'anima de i secoli, e un desio mesto pe 'l rigido aere sveglia di rossi maggi, di calde aulenti sere, quando le donne gentili danzavano in piazza e co'i re vinti i consoli tornavano. Tale la musa ride fuggente al verso in cui trema un desiderio vano de la bellezza antica." (Giosuè Carducci, Nella piazza di San Petronio) Fra fiocco e fiocco, Bologna sa essere anche questo. Si spera sempre che questo sia un bianco mantello che la città voglia indossare, comunque, per il minor tempo possibile. Dopotutto, cronologicamente, sembra mancare poco al punto di forzato miglioramento: "[...]che profumo Bologna di sera / le sere di maggio [...]" Sia conto alla rovescia, dunque...sperando di vedere presto dismesso questo bianco e (per poco) affascinante mantello. Meglio fermarsi, anche perchè il rischio è sempre quello: "[...]Bologna, adesso voltati/ mi fai commuovere/ lo sai che esagero/ con le parole."
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