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Bombe a Boston: l’insostenibile ingiustizia del Male

Creato il 16 aprile 2013 da Ilnazionale @ilNazionale

bombe a boston16 APRILE – Capita che nella vita di una persona arrivi il momento di aprire gli occhi di fronte al senso della propria esistenza, dell’essere uomo su questa terra. Un momento privilegiato per questo processo è la vecchiaia, quando gli acciacchi sempre più frequenti e i cambiamenti di volta in volta più netti fanno sentire, a coloro che un tempo erano giovani immortali, la loro reale debolezza nei confronti del tutto. E questa la saggezza riconosciuta all’ anzianità, l’ “hemazon epazon” di cui parlavano i greci antichi, quel sapere che è figlio della sofferenza, dell’angoscia, del male del mondo. Quegli stessi greci, però, impararono a convivere con questo tipo di conoscenza lucida della realtà, osservandola con le lenti di un dolore che riuscirono ad accettare senza subire. Lo patisce invece terribilmente l’uomo del ventunesimo secolo, che ha deciso di voler vivere bello, sano e felice, evitando il più possibile simili pensieri ai quali ancora nessun medico ha trovato un farmaco adeguato, ma che prima o poi con esso deve fare dei conti che, essendo inaspettati, divengono ancora più salati. Gli episodi della vita infatti sembrano sempre riservarsi lo spazio per indicare alla coscienza umana la figura più lontana e insieme più vicina che possiamo esperire, ovvero quella della morte. E questo sicuramente il fatto più doloroso che esista, bomba_boston[1]ma anche, come dicevano i greci e dopo di loro Gesù di Nazaret, l’unica fonte vera di giustizia nel mondo, colei che trionfa della dismisura, che ricorda ai vivi che la vedono negli altri (anche in quelli imbevuti di scienza della nostra epoca) che l’essere non è una cosa, ma un evento. Infatti, che giustizia potrebbe mai fare il governo americano, dopo l’attentato di ieri, se il colpevole non dovesse, prima o poi, morire come le sue vittime? Nessuna, come nessuno potrà mai ridare la vita o le gambe a chi le ha perse ieri, improvvisamente, mentre, in una soleggiata giornata di festa nazionale, stava assistendo felicemente all’arrivo dei propri cari, come quel bambino di otto anni rimasto ucciso nell’esplosione. Aveva ragione allora Arthur Schopenhauer a farsi convincere dalla “verità che veniva fuori dal mondo” che esso “fosse opera del diavolo”. Anche alla maratona, simbolo di vita, di gioia, di benessere, ieri, a Boston, si è presentato puntuale il Male, e noi non possiamo che piangere per chi non c’è più e stringerci intorno, come ha detto Obama, a chi si è visto avvolgere, con il suo colorato abbigliamento sportivo, nel manto nero del dolore.

Alessandro Ferrazzi 


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