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Bombetta

Da Alberto Murru @Albob_Mu

bombettaPoche volte sono riuscito a portare un cappello in testa, mai senza imbarazzo; ho provato con il basco e con la bombetta, non sono durato più del portone di casa. Eppure quando s’è trattato di rigirare i pantaloni fino a portarli sopra la caviglia non ho avuto chissà quale problema di autostima. Non mi sono imbarazzato neppure quella volta del maglione da padre. Ero in via Manno, e non so come a Cagliari faceva freddo, anche il mio coinquilino di Gavoi aveva freddo, quindi c’era effettivamente freddo; inizialmente sarei dovuto uscire con addosso un bel poncho pesante, ho poi ripiegato sul maglione verde con fiocchi di neve bianchi e qualche pupazzo disegnati sul fronte, forse solo io riuscivo a distinguere quei disegni, tessuti in una maniera incomprensibile. Ho sfilato con quella lana addosso per tutta la città senza vergogna ne timidezza, forse perché in giro non c’era nessuno. Se fosse esistita una scala di impatto visivo dato dai maglioni da padre, il mio si sarebbe posizionato sicuramente tra i più inguardabili, però, faceva veramente caldo. Il coraggio che però riuscivo a trovare nell’indossare quel pezzo d’antiquariato, non riuscivo a tirarlo fuori per indossare il cappello in pubblico. Adoravo i cappelli da anni, ne custodivo diversi nell’armadio, ma sfoggiati solo per qualche istante, solitamente giustificati con un “dai, sto scherzando”. L’ultimo della serie era un misto tra lo stile da cowboy e quello da parroco alla Don Abbondio, faceva ombra fino a metà delle spalle, lo avevo comprato in chissà quale giornata di massima autostima e nessun rispetto nello sperpero del denaro.

Era martedì, era martedì quando spinto da eroismo e spirito alcoolico, decisi di indossare per la prima volta il cappello, l’ultimo della serie. Mi sentivo come quando avevo indossato il maglione, sicuro di me stesso e tranquillo, era la giornata giusta, il vino Ogliastrino aveva fatto il suo effetto, ero un pò più balente degli altri giorni. Lo tenevo leggermente inclinato all’indietro fino a far spuntare un pò di ciuffo liscio dalla fronte; tra l’altro avevo superato il primo impatto con i miei coinquilini facendo finta di niente, come se quel pezzo di stoffa l’avessi cucito sul cranio da sempre, come se quel pezzo di stoffa fosse anche un mezzo di riparo dal freddo, una prescrizione medica, “metti il cappello”, va bene.

Dopo qualche chilometro a piedi non potevamo che giungere in Marina, regnava il deserto invernale, e l’unico covo caldo e accogliente non poteva che essere la casa del comunismo, dove sicuramente mi sarei trovato a mio agio con quell’aria da Doherty. Scritte le solite scempiaggini sul registro delle tessere associative, apro e vengo inghiottito da una nuvola di fumo che mi fa da sipario e mi preserva ancora per qualche secondo dalla vista di tutti, regalando solo l’immagine della mia ombra, longilinea e chiusa da quell’enorme cappello. A malapena distinguevo le persone ai tavoli, e tagliato il fumo, mi accorgo dell’insolito silenzio che capeggia nella sala, nessuno parla e tutti fissano noi nuovi entrati. Con la mano destra afferro il cappello è lo getto per terra, proprio di fianco all’ingresso, come schifato, come se m’avessero messo una medusa in testa. Abbattuto il muro di silenzio, ci sediamo ai tavoli; il vino Ogliastrino e la mia sicurezza erano svaniti in quel silenzio, la mia sicurezza se ne andava con il fumo della sala, bevevo lentamente e non mi attaccavo ai discorsi degli altri, riflettevo e basta. Per anni avevo visto mio nonno girare con un basco, sicuro, era parte di lui, mio nonno era mio nonno solo se aveva quel berretto. Nonno era Hipster??


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