Tra il 1986 e il 1987, ovunque nel mondo, tranne in Italia ovviamente, una band dal nome curioso iniziò a sfornare singoli rock radiofonici, adatti a trovarsi in quel confine tra la musica per i cattivi (i rockers) e quella per i buoni (gli amanti della musica commerciale). La band di Jon Bon Jovi, talentuoso cantante di origine italiana, catturava le attenzioni delle teen ager di quegli anni, anche quelle di buona famiglia.
Uhm…
Qui da noi, arrivò l’eco della sua musica nell’estate dell’86, forse ’87. Io ero un ragazzotto a cui le radio commerciali stavan già sulle palle, e mi stavo spostando sempre più verso il genere della gente con i capelli lunghi. Logico che i gusti non erano così raffinati da distinguere se fosse buona cosa ascoltare AOR e trash metal allo stesso tempo: c’erano le chitarre? Avevano i capelli lunghi? Okay, andavan bene.
Mettiamoci poi che a suonare non era proprio come certe band da due accordi che appaiono ogni tanto, e che facevano pure colonne sonore per film di giovani pistoleri, e i Bon Jovi eran promossi.
Uhm 2
Negli anni successivi però, ahimè, arrivarono a livelli di orecchiabilità da radio che non rientrava più nella mia soglia di tolleranza, toccando l’apice della canzonetta con It’s My Life, adatta a essere canticchiata da chiunque (spesso inventandosi le parole) l’ascoltasse a ripetizione sull’emittente che trasmetteva in spiaggia.
Che abbia poi provato a fare pure l’attore, Jon Bon Jovi, non va a cambiare il giudizio sulla carriera intrapresa dalla band anche dopo la reunion, adatta, come detto sopra, a intrattenere gente che sta lavorando o fa le pulizie in casa.
Qualche bel pezzo però val la pena di riascoltarlo, tipo questo che dedico a mia moglie. Come sempre lei capirà…