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Book blitz: “The ghost of you”, di Amanda Burckhard

Creato il 24 febbraio 2015 da Ceenderella @iltempodivivere

Non ho più l’età, devo ammetterlo. Fare le sei ieri mattina per gli Oscar, nonostante l’alta qualità di manzi e abiti meravigliosi, mi ha distrutta. Ancora, non son capace di formulare pensieri che seguano un filo logico per troppo a lungo prima di perdersi in cincischiamenti insensati; e, quindi, quale occasione migliore per presentarvi un libro che esce proprio oggi, negli USA?

Ghost of YouTitolo: The ghost of you
Serie: The ghost of you #1
Autrice: Amanda Burckhard
Editore: Swoon romanceinedito in Italia
Anno: 2015
Pagine: 213
La potete trovare qui

Emma ha tutto ciò che ha sempre voluto: un ragazzo che adora, amici fantastici, un futuro promettente e persino una famiglia unita. Ma una notte tutto le viene portato via: un incidente manda in frantumi il suo mondo, prendendosi la vita di suoi fratello gemello e della sua migliore amica. Sulla scia dell’incidente, i suoi amici si allontanano, la sua famiglia si sgretola e il suo ragazzo la tradisce.
Il dolore è più di quel che può sopportare, perciò cerca rifugio sul fondo di una boccetta di analgesici. Prendere le pillole fa tornare in vita il fratello, anche se solo nella sua testa. Vederlo e parlargli come se fosse ancora vivo è l’unica cosa che le permette di andare avanti. Finché Logan non si trasferisce in città. E vede oltre la perfetta maschera della popolarità che indossa in pubblico ed è l’unico a capire che non è andata avanti. La sua inspiegabile capacità di leggerla la obbliga ad aprirsi, facendola innamorare, a dispetto di quanto pretenda di non ammetterlo. Ma Emmy non è l’unica ad avere dei segreti e, quando un incontro ravvicinato con la morte li mette in luce, dovrà decidere cos’è più importante: imparare a perdonare e andare avanti oppure rimanere attaccata alle pillole e al fantasma del passato.

Nell’ultimo anno ho sviluppato un sistema. Ci sono voluti alcuni tentativi ed errori, ma alla fine l’ho reso al pari di una scienza esatta. Sapevo esattamente quante prenderne e a che ora le pillole mi rendevano tranquilla senza effetti collaterali. Ne prendevo una prima di lezione, alle otto, una dopo pranzo all’una, una dopo gli allenamenti alle sei e una prima di dormire. Non le ho mai prese troppo vicino agli allenamenti perché non volevo mi intontissero o rallentassero. Qualcuno l’avrebbe notato.
Non avevo bisogno di voltarmi per sapere che Derek era arrabbiato. Mi sedetti sulla panchina al suo fianco. Incrociò le braccia, l’espressione accigliata. “Non è salutare.”
“Non lo è nemmeno parlare col fratello morto, ma non sembra sia un problema per te quello.”
Si aggrottò ancora di più. Andai al capanno, trovandolo appoggiato a una parete mentre lo aprivo e prendevo un rastrello. “Non è la stessa cosa e lo sai.”
“Ne abbiamo discusso decine di volte. Che senso ha? Sai cosa succede se smetto di prenderle, perciò smettila.” Le pillole me lo avevano riportato e lo tenevano con me. Se avessi smettessi di prenderle, sarebbe sparito. Non poteva succedere. “Qual è il problema, comunque? Non manco mai da scuola, ho voti perfetti e sono la migliore a softball. Non è che sono una drogata o chissà che. Non mi fanno male, mi aiutano.”
Quando ritornai sul campo, mi stava aspettando. Il rastrello di metallo strideva contro i sassolini mentre appiattivo i solchi e i segni dei tacchetti sulla terra.
La mascella serrata era un chiaro segnale del fatto che volesse continuare a discutere, ma cambiò argomento. “Hai fatto dei grandi tiri, oggi.”
“Grazie.” Mi fermai, qualcosa mi assillava. Mi dava pensiero da tutto il giorno. “Ho paura di dire a papà della foto di classe.”
“Allora non glielo dire.”
“Lo scoprirà comunque. Sarà peggio se non glielo dico io.” Sapevo ce non c’era niente che potessi fare per non farla, ma questo non avrebbe fermato papà dall’essere arrabbiato. L’avrebbe visto come una perdita di tempo.
“Vero.”
Continuai a lavorare sul campo. Quando ebbi appianato ogni buco, portai il rastrello nel capanno e lo chiusi. “Ancora non riesco a credere di essere in classe con Zane.” Mi tolsi le scarpette e le buttai in borsa, rimettendo i sandali. Camminammo fino all’auto e mi assicurai di chiudere col lucchetto il cancello il complesso dei quattro campi.
“Forse se dessi alla fotografia una possibilità, ti piacerebbe. Anche con Zane.”
Buttai la borsa nel bagagliaio e scivolai sul sedile. Era già seduto al mio fianco. “Forse. Vedremo.”
Il viaggio fino a casa fu silenzioso. Non mi andava di parlare. Lo volevo attorno e basta. Sembrava sapesse sempre in che stato d’animo fossi.
Il mio stomaco brontolò, così mi fermai e andai a prendere un panino all’alimentari locale. Lui rimasi in auto.
Quando arrivammo a casa, misi l’auto in garage. Rimase a fissare la strada deserta. Con voce triste, disse: “Vorrei che mamma stesse più tempo a casa e non trascorresse tutte le ore libere al ricovero. Forse papà allora non passerebbe la maggior parte delle notti in ufficio. E tu non prenderesti le pillole.”
Mamma era la regina del volontariato. Aiutava il rifugio delle donne del quartiere, la mensa di carità, il call-center di supporto agli aspiranti suicidi e anche al rifugio degli animali. Organizzava eventi di beneficenza quando ero piccola, ma da quando era morto Derek, la mamma aveva fatto del volontariato un’ossessione. Stava sempre ad organizzare qualche asta benefica. Papà lavorava novanta ore a settimana.
Nelle settimane successive la morte di Derek, continuavo a dirmi che avevano bisogno di tempo. Che avevano perso un figlio, che erano distrutti tanto quanto me e che le cose sarebbero migliorare.Però poi le settimane sono diventate mesi e i mesi un anno. E poi ogni volta che mi domandavo se stessero bene, se fossero tornati quelli di una volta, l’empatia mascherava d’improvviso rabbia e risentimento. Derek era morto, ma io c’ero ancora e mi avevano abbandonata. Ero praticamente invisibile. Per loro, potevo anche essere morta. “Anche se stesse a casa di più, papà sarebbe lo stesso uno stacanovista e io prenderei lo stesso le pillole. Perché saresti comunque morto.”
Non mi rispose.

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amanda b

Amanda Burckhard è cresciuta esplorando bat-caverne e andando a caccia di ossa di dinosauro a Black Hills, in South Dakota. Quando non incontrava puma, inventava storie e divorava libri in biblioteca. Anche se questo lo fa ancora.
Ama viaggiare e depennare cose dalla lista adrenalinica di cose da fare prima di morire. Alcune delle cose che ha potuto depennare includono il vedere un vulcano eruttare, condurre una gondola a Venezia e accarezzare una tigre.
Attualmente, vive a North Siouz City, in South Dakota, e lavora come microbiologa. Alcune delle sue ossessioni includono i film tratti dai fumetti, la cioccolata calda, il sushi, i tramonti e Doctor who.
La potete trovare sul suo sito web, su facebook, twitter e goodreads.

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