Lo incontrai in treno, nel tragitto destinato a portarlo a Belgrado. Viaggiava nei luoghi più disparati della terra, alla ricerca di capire gli errori commessi nel tempo. In quel viaggio si celava il desiderio recondito di comprendere come benessere e felicità si fossero separati, nonostante la gente continuasse a comportarsi come se ancora formassero una coppia. Un amore dei nostri tempi.
La valigia, nonostante la volontà di viaggiar leggero, aveva sempre almeno un indumento di troppo, per cercare di contrastare il “non si sa mai”. Quello stesso “non si sa mai” che nei racconti costituiva sempre la parte più divertente. E il principio del vuoto di Joseph Newton si faceva beffa in quello spazio lasciato dai dubbi e dalle incertezze.
Si sforzava costantemente di tenere sollevati gli angoli della bocca perché aveva questa strana convinzione che il modo più semplice di far sorridere una persona fosse mostrarle un sorriso. Aveva quell’espressione anche quando nel pieno di un’operazione letteraria a cuore aperto leggeva le righe di “L’ultima lezione. La vita spiegata da un uomo che muore ” di Randy Pausch . Ma in quel caso era tutto molto più semplice.
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