Mediterraneo interiore
Concedetevi una vacanza
intorno a un filo d’erba,
dove non c’è il troppo di ogni cosa,
dove il poco ancora ti festeggia
con il pane e la luce,
con la muta lussuria di una rosa
Così inizia il libro “Geografia commossa dell’Italia interna” di Franco Arminio, autore eclettico che aveva recitato al Teatro Officina di Milano nello spettacolo “Oratorio Bizantino”, tempo fa da me recensito per NonSoloTuristi.it.
Casualmente, in una biblioteca di Varazze mi è capitato di incorrervi quasi fosse una strana combinazione del destino. Forse è stato un tacito richiamo della terra delle materne origini dell’autore, Teora, nell’avellinese. Visitata per i primi decenni di vita, nel periodo estivo, e poi dimenticata dopo la furia catastrofica del terremoto del 1980, ma di cui riaffiorano il valore dei legami sociali pur con la perseverante attitudine alla maledicenza e al sarcasmo corrosivo della civiltà contadina, e il sapore della fatica delle camminate fra boschaglie e valloni assolati per raggiungere il paese “disteso come un vecchio addormentato” su cocuzzoli rocciosi.
Ritorna nei ricordi il gusto amaro del pane raffermo, visto impastare e cuocere nei forni, assieme a focacce e pizze croccanti,il gusto dell’acqua fresca bevuta alle scarse fontane o attinta ai pozzi e gelosamente custodita per giorni nelle case. È rimasto nel cuore l’assordante scampanellio della mandrie al pascolo e dei perpetrati latrati dei cani allertati da ogni qualsiasi segnale sospetto. È sempre salda ancora nella memoria l’abitudine al duro lavoro stagionale condiviso, come la mietitura,la trebbiatura culminante con le lunghe tavolate, allietate a fine giornata dal suono della fisarmonica e dei balli spontanei. Spesso riaffiora l’eco inquietante dei racconti di vita dei vecchi sdentati,monumenti viventi seduti dinanzi ad usci scricchiolanti;storie in cui si mescolavano leggenda e fantasia, misteri e frammenti di misere realtà.
Le stesse realtà che “fotografa” il poeta Arminio, il quale, pur apparentementemente denigrando quel niente che aleggia nei paesi irpini come Calitri, Conza, Santangelo dei Lombardi, ne esalta l’intenso valore, che forse deriva proprio dalla forza del poco, che assurge ad essenza di un mondo che ha perso la propria identità. Ogni parola del poeta sembra uno scrigno che cela inebrianti essenze che restituiscono il sapore del non vissuto.
Parlando della lucana Matera dice: “Città ipnotica in cui circola un’atmosfera antica nella quale ancora un po’si può guarire andando dietro il paesaggio, disonorando la civiltà dell’impazienza.”
Nato a Bisaccia, nell’Irpinia Orientale, affianca alla scrittura l’attività di documentarista, oltre che di organizzatore di festival e scuole di paesologia, una sua disciplina che fonde la geografia umana a quella del territorio. Dice di essere convinto che il futuro sia del Sud e dei paesi, e che ci sia bisogno dei braccianti del futuro, di gente che esce per riattivare lo sguardo, per incontrare gli altri e camminare insieme, per sfondare la prigione della provincia. Quasi come un lamento, sostiene che abbiamo bisogno di contadini, poeti e di gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e che riconosce il vento.
“Bisogna intrecciare in ogni scelta importante competenze locali e contributi esterni. Intrecciare politica e poesia, economia e cultura, scrupolo e utopia. Stare insieme per guardare il mondo con stupore e meraviglia,sapendo che non sappiamo mai dove ci coinduce, sapendo che comunque ci conduce sempre da qualche parte.”
“Geografia commossa dell’Italia interna” è uno splendido vademecum per viaggiatori alla ricerca di spazi desueti, di confini non circoscrivibili, di una meta non codificata, soprattutto allorchè si configuri come quella, non facilmente raggiungibile ma straordinariamente appagante, di un ritrovato benessere interiore.