La Pasqua russa
La Pasqua russa
Simon Ushakov, “L’Ultima Cena”, 1685
Boris Pasternak è già ampiamente presente nel mio blog. Inoltre nel 2014 Gianmario Lucini (CFR) – un amico che non smetterò mai di rimpiangere, ha pubblicato 30 poesie di Pasternak nella mia traduzione. Oggi presento la mia versione di due poesie di Pasternak, come omaggio alla vicina primavera, e come devoto pensiero rivolto alla imminente Settimana Santa. Esse sono tratte entrambe dal ciclo Poesie di Jurij Živago.
Marzo
Al sole si sudano sette camicie,
E si agita, stordito, il burrone.
Come il lavoro di robusta mandriana,
Fervono le mani della primavera.
Langue la neve malata di anemia
Nei rametti inerti di vene azzurrine.
Ma fuma la vita nella stalla delle mucche,
E di salute scoppiano i denti dei forconi.
Che notti, che giorni e che notti!
Il ticchettio delle gocce a metà giorno.
I cachettici ghiaccioli dei tetti,
Dei ruscelli insonni il cicaleccio!
Tutto è aperto, la scuderia e la stalla.
I colombi nella neve beccano l’avena,
E tutto genera e vivifica
L’odore fresco del letame.
1946
Nella Settimana Santa
Intorno ancora la nebbia notturna.
Ancora nel mondo è così presto,
Che il cielo pullula di stelle
E ognuna, come il giorno, è luminosa,
E se solo la terra potesse,
Dormirebbe il giorno di Pasqua
Alla lettura del Salterio.
Ancora intorno la nebbia notturna.
Ancora è così presto nel mondo,
Che la piazza giace coricata
Come in eterno da tutti i lati,
E mille anni ancora la separano
Dall’alba e dal calore.
Ancora la terra è completamente nuda,
E di notte essa non ha niente
Per far oscillare le campane
E fare eco ai coristi dall’esterno.
E dal Giovedì Santo
Fino al Sabato Santo
L’acqua perfora le rive
E intesse mulinelli.
E il bosco è spoglio e scoperto,
E sulla Passione di Cristo,
Come folla in preghiera,
Veglia la turba dei tronchi di pino.
Ma in città, in un piccolo
Spazio, come a una riunione,
Gli alberi guardano muti
Le grate della chiesa.
E il loro sguardo è preso dal terrore.
E’ comprensibile il loro sgomento.
I giardini escono dai recinti,
Vacilla il sistema terrestre:
Seppelliscono Dio.
E c’è la luce nella porta regia,
E il nero manto, e la fila di candele,
Volti rigati dalle lacrime –
E a un tratto la processione viene
Incontro col lenzuolo tombale,
E due betulle presso la porta
Devono tirarsi da parte.
E il corteo gira intorno alla chiesa,
Riempie il marciapiede fino al bordo,
E porta dalla strada sul sagrato
La primavera, le ciarle primaverili
E l’aria che sa di prosfora
E di ebbrezza di primavera.
E marzo sparge la neve
Nell’atrio sulla folla degli storpi,
Come se qualcuno fosse uscito
Portando l’arca e l’avesse aperta
Distribuendola a tutti.
E il canto dura fino all’alba,
E, dopo aver tanto singhiozzato,
Giungono sommessi dall’interno
Nel luogo vuoto sotto i fanali
Il Salterio e l’Apostolo.
A mezzanotte taceranno la creatura e la carne,
Avendo udito la voce primaverile,
Che appena tornerà il sereno –
La morte si potrà sconfiggere
Con lo sforzo della resurrezione.
1946