Magazine Cinema
Francia, 2011
40 minuti
"Il mio nome è Walerian Borowczyk e sono morto da regista polacco. Ho vissuto tutta la mia vita in una scatola con un foro"
Ma facciamo un passo indietro...
Dopo la magnifica e fortunata visione di Living Still Life ci si poteva aspettare solo il meglio da Bertrand Mandico, e Boro in the Box, finalmente emerso dopo lunghissima attesa, non può che confermarsi per quello che già da tempo si fiutava: un Capolavoro.
Certo, dovendo ancora fruire dell'altra serie di cortometraggi realizzati dall'eccentrico artista francese, è forse azzardato stabilire se lo sia anche rispetto al suo operato complessivo. Ma se invece guardiamo alla sensibilità con cui è concepita la singola opera in questione, ecco che la qualifica assume un significato inoppugnabile. Perchè ci vuole una grande sensibilità, e Mandico la dimostra tutta, nell'incasellare (o inscatolare, riferendosi più appropriatamente al titolo) strutturalmente dalla A, alla Z, la vita e le ossessioni di un regista dalla poetica travagliata come Walerian Borowczyk (più conosciuto dagli affezionati come "Boro") suddivise in ventiquattro frammenti. Tanto incensato agli albori della sua carriera, dove dal 1959 (anno tra l'altro della sua collaborazione con Chris Marker in Les Astronautes) a Parigi, si distinse per animazioni surreali di grande capacità espressiva, quanto successivamente rigettato e tacciato come pornografo osceno per la disinvoltura con cui esprimeva il suo erotismo surreale e libertino: "i miei film hanno generato una malattia". Nonostante tutto, Boro ha continuato per la sua strada; "disegnando uccelli senza le piume" e perseguendo instancabile la sua erotica visione surrealista. E nel suo encomiabile omaggio filmico, Mandico riversa con passione tutta la sua ammirazione per l'autore polacco (tanto da scriverne anche un'intervista immaginaria in un saggio sul cinema del critico Alberto Pezzotta: Associazioni imprevedibili: il cinema di Walerian Borowczyk), riconfermandosi non solo un semplice discendente di quei movimenti surrealisti che hanno seminato di fluidi organici un determinato periodo, ma un poeta a tutti gli effetti, che sembra sorgere direttamente dalle ceneri del surrealismo più incontaminato infondendole nuova vita, e reinventandone iconografie indelebili attraverso l'opera omnia di uno dei suoi maggiori esponenti del passato. Ecco, Boro in the Box, sostanzialmente non fa altro che riesumare quel respiro di cinema dalla sua prospettiva più idilliaca, senza tanti arrovellamenti; Boro è prima di tutto un uomo, intrappolato nella "Box", (sur)realtà dove l'unica visione possibile scaturisce dall'occhio della cinepresa, perchè l'altro, è privato della vista per non dover osservare la meschinità di quella parte del mondo che ha ripudiato l'artista e la sua Arte. A maggior ragione, credo (e spero) che l'opera di Mandico vada innanzitutto esperita con la giusta consapevolezza di trovarsi dinnanzi a un memoriale inossidabile, che richiede un minimo di riverenza e cultura filmica alle spalle (se non sul "genere", perlomeno sull'artista/personaggio citato) in modo di sapere esattamente cosa, abbia richiamato la nostra attenzione fino a quel momento. Allora, sarà oltremodo più stimolante assistere alla visione essendo a conoscenza che, ad esempio, la raffigurazione bestiaria (l'ombra del cavallo e della madre stagliati al chiaro di luna, in procinto di accoppiarsi) del paragrafo (P) "Pornografo", è una delle ossessioni che più hanno pervaso non solo, l'immaginario borowczykiano, ma anche parecchio cinema che alimentato dal successo de La Bête (1975), ha successivamente trovato nuovi possibili sbocchi.
"Il mio senso del pudore mi ha fatto distogliere lo sguardo."
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