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Secondo Inzko vi sono due possibilità: che il Parlamento della RS annulli esso stesso la decisione di tenere il referendum o che ciò venga fatto dall'Alto rappresentante internazionale anche se non è detto che un atto formale dell'Alto rappresentante fermerà i dirigenti di Banja Luka. Inzko potrebbe anche imposte sanzioni contro personalità istituzionali della RS, un provvedimento a cui si serbo-bosniaci potrebbero però reagire ritirando i loro rappresentanti dalle istituzioni centrali dello stato, mentre il rafforzamento dello stato centrale è una condizione cruciale per l'integrazione euro-atlantica della Bosnia. Inzko sarà a New York lunedì prossimo per riferire della situazione al Consiglio di sicurezza dell'Onu e solo al suo rientro deciderà o meno se procedere. “I politici della Repubblica Srpska dovrebbero sapere che violare l'accordo di pace è un'avventura pericolosa capace di provocare conseguenze impreviste”, ha dichiarato il portavoce di Inzko, Dorothee Jenkers alla France presse.
L'ambasciatore italiano Raimondo De Cardona, in un'intervista all'agenzia TMNews, non nasconde che in Bosnia "le cose non vanno bene e potrebbero andare peggio. Il referendum rischia di getta il Paese in una "escalation dagli esiti incerti", le cui soluzioni "devono transitare per Bruxelles".Il Paese, secondo il nostro rappresentante diplomatico, quindi richiede un monitoraggio di assoluta attenzione da parte della Comunità internazionale" perché questa inziativa “si somma al fatto che sono passati sette mesi dalle elezioni, non c'è ancora un governo e non c'è neppure una verosimile prospettiva che si formi”. Per De Cardona, “è improprio dire che il sistema istituzionale di Dayton fa acqua, anche se “non c'è dubbio che stiamo entrando in una fase di escalation”. L'ambasciatore italiano ritiene improprio anche parlare di secessione “o di scenari drammatici di questo genere”, anche perché l'Ue invierà entro luglio il suo nuovo delegato che agirà nel quadro della rafforzata diplomazia europea post Lisbona e assumerà anche il ruolo di Rappresentante speciale dell'Ue, ricoperto finora in Bosnia dallo stesso Alto rappresentante internazionale, fortemente osteggiato dai serbo bosniaci, al contrario del delegato Ue sul quale c'è invece un consenso molto ampio e sul quale “convergono tutte le visioni di tutti i politici bosniaci in senso favorevole”.
Sta di fatto che la Bosnia Erzegovina sta affrontando la più grave crisi politica dopo la fine della guerra nel 1995, almeno secondo Louise Arbour, presidente dell'International crisis group (Icg), che in una lettera inviata il 2 maggio ai massimi vertici dell'Ue e ampiamente ripresa ieri dai media locali, avverte che “la legittimità delle istituzioni dello Stato (centrale) è attaccata da tutte le parti” e che in Bosnia "probabilmente violenze non sono imminenti, ma se questo processo proseguirà, ne esiste la prospettiva reale in un prossimo avvenire”. Arbour chiede quindi un intervento diretto dell'Unione europea, invitandola ad indire una conferenza prima che si tenga il referendum affinché la Comunità internazionale fissi degli obiettivi in Bosnia”. La presidente dell'Icg indica come necessario “riaffermare l'attaccamento della Comunità internazionale agli accordi di pace di Dayton e all'integrità territoriale della Bosnia".
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