È più difficile raccontare una storia o scriverla?
Se ponessimo questa domanda ad un bambino, non avrebbe dubbi, padrone assoluto dell’arte dell’immaginazione, ci direbbe che è scrivere l’ostacolo. Inventare non è un problema, perché una storia può durare anche ore, se si ha a disposizione la dose giusta di biscotti e di pubblico, pronto a fare propria l’immaginazione altrui. Ma cosa risponderebbe un adulto, magari un apprendista-scrittore? E voi? Sareste d’accordo con il bambino in questione? Se lo chiedeste a Giulio Mozzi, probabilmente vi direbbe che la cosa più difficile è inventare una storia (inventarla bene) e non scriverla. Perché se un apprendista-scrittore si blocca davanti ad una storia che non si decide a venir fuori o peggio fluisce disordinata e fragile su un inconsapevole foglio A4, siamo di fronte ad una storia incompleta. Imparare a inventare diventa quindi un requisito indispensabile per un apprendista-scrittore o aspirante tale. E poi? Una volta imparato a allargare la vostra immaginazione, il lavoro finisce lì? Certo che no. Per continuare il vostro viaggio nell’immaginazione potreste decidere di approfondire la conoscenza della Bottega di Narrazione, una delle più recenti imprese creative di Giulio Mozzi, consulente editoriale per piccole e grandi case editrici, oltre che creatore dell’universo Vibrisse. Il progetto, nato a Milano con la collaborazione di Laurana editore, punta ad offrire agli apprendisti-scrittori, selezionati sulla base di un progetto di narrazione, un laboratorio in cui sperimentare la loro immaginazione e confrontarsi con autori affermati che, come loro, hanno deciso di mettersi in gioco. Ma chiediamo direttamente al creatore della Bottega le ragioni di questo progetto.
Partiamo dal nome. Perché Bottega e non Scuola? Imparare a scrivere è come imparare a modellare un vaso o a cucire un abito? Si tratta per lo più di tanta buona pratica condivisa con chi sa usare al meglio i ferri del mestiere?
Le domande sono tre. Parto dalla terza. Si tratta anche di tanta buona pratica condivisa tra compagni che condividono un percorso, tra i quali ce ne sono alcuni più esperti. Seconda domanda. No. So che è di moda fare paragoni di questa specie: lo scrittore è "come un falegname", ha la sua "cassetta degli attrezzi", e così via. Di questa moda io non ne posso più. Per carità, la parola "finzione" deriva dal verbo latino "fingere", che significa "modellare"; e le parole "testo" e "trama" rimandano alla tessitura (più che alla sartoria). Ma la ceramica e la tessitura/sartoria sono attività completamente diverse dalla scrittura: se non altro perché la scrittura usa una materia prima, il linguaggio, che è sempre significante. Un vaso può essere apprezzato per la sua pura forma, una frase ha anche un significato. Imparare a scrivere significa, prima di tutto, imparare a prendersi la responsabilità dei significati. Prima domanda. La parola «scuola» rimanda, nell’immaginario dei più, a un insegnamento frontale composto di lezioni ed esercizi. La parola «bottega» mi pare rimandi piuttosto a un insegnamento nel quale le lezioni (e la teoria) vanno a incastonarsi nel lavoro di produzione: e non ci sono mai esercizi, ma sempre si lavora sul proprio progetto.
Come sono stati scelti i partecipanti a questo percorso nel 2011?
Nell’ottobre del 2010 pubblicammo un bando nel quale si diceva: vi proponiamo una cosa così e così; se vi interessa, mandateci un vostro progetto di narrazione; selezioneremo quelli che ci sembreranno migliori o comunque più credibili; gli accettati saranno non più di venti. Ricevemmo sessantacinque progetti, ne selezionammo ventidue, un paio di selezionati ebbero un ripensamento all’ultimo istante, partimmo con venti persone.
Come ha scelto i maestri d’arte che gli apprendisti scrittori potranno prima “copiare” e poi “contestare”?
Abbiamo invitato nella Bottega alcuni scrittori che ci sembravano aver pubblicato recentemente delle opere non solo belle, ma anche interessanti dal punto di vista tecnico.
In un capitolo del suo libro Corso di scrittura condensato dedicato ai decaloghi, ricorda agli aspiranti scrittori che è importante non avere fretta, poiché bisogna lasciare alle idee il giusto tempo per svelarsi. Ma qual è il giusto tempo e a chi tocca valutarlo? Dodici mesi sono un giusto tempo per far nascere una buona storia? Per questo ha strutturato la durata della Bottega in un anno? E cosa si porteranno a casa i partecipanti questo mese, quando si concluderà questo ciclo di incontri?
Le domande sono quattro. Parto dall’ultima. I partecipanti, quando si concluderà la prima edizione della Bottega, si porteranno a casa un bel po’ di cose imparate, un bel po’ di lavoro fatto, un’idea più precisa e più profonda (e quindi anche più problematica) dello scrivere e del narrare, un’idea più chiara e più esigente di quando un lavoro possa essere considerato finito. Inoltre si porteranno a casa loro stessi: l’amicizia e la confidenza nate e consolidate in questi dodici mesi, l’abitudine acquisita di discutere e di mettersi in discussione, le cene sociali, i telefoni e gli indirizzi di tutti… Alcuni si porteranno a casa anche l’interesse suscitato presso un editore o un agente. Terza e seconda domanda. Un anno è troppo poco. Ce ne siamo accorti. La prossima Bottega, che inizierà nel giugno del 2012, durerà un anno e mezzo. Con i partecipanti di quella che va a concludersi ho preso un accordo: sarò a loro disposizione anche per i primi sei mesi del 2012. Un anno, peraltro, per alcuni è stato più che sufficiente a iniziare e finire una «buona storia». Prima domanda. All’Authority per il giusto tempo.
Qual è il bilancio della prima edizione della Bottega? Ripartirà nel 2012? E se sì, con quali novità? A chi consiglierebbe questo percorso e a chi invece lo sconsiglierebbe?
Le domande sono quattro. Parto dall’ultima. Non consiglio la Bottega a nessuno. Mi limito a dire che la Bottega è un luogo nel quale una ventina circa di persone, sotto la guida di persone più esperte, possono lavorare a un proprio progetto ed essere accompagnate da vicino nel corso del lavoro, ricevendo nel contempo una formazione teorica, incontrando altri professionisti della scrittura, imparando ad analizzare e discutere il proprio lavoro e il lavoro degli altri. Se uno pensa che in una situazione del genere potrebbe trovarsi bene, la prenderà in considerazione. Sconsiglio vivamente la Bottega a chi ha il desiderio di scrivere ma non ha un progetto preciso. Per «progetto» intendo qualsiasi cosa che dia l’idea di un’intenzione: un soggetto, qualche capitolo scritto, una scaletta, una prima versione, eccetera. Terza domanda. Le novità saranno due: un tempo più lungo (un anno e mezzo anziché un anno) e una più precisa definizione dei temi teorici. Poi, vabbè, abbiamo un’esperienza fatta alle spalle, ci saranno tante micro-novità, tanti aggiustamenti e così via. Seconda domanda. La nuova Bottega ripartirà a giugno 2012. Nel frattempo, da gennaio a maggio, organizziamo un corso fondamentale di scrittura e narrazione. Che sarà un corso – appunto – e non una Bottega: sarà strutturato in lezioni ed esercizi. Prima domanda. Buono, mi pare. I partecipanti mi sembrano soddisfatti. Io sono soddisfatto. Se nell’arco di un anno almeno tre dei partecipanti si ritroveranno con un contratto in mano, sarò non solo soddisfatto ma davvero contento.
La ringrazio per la disponibilità e il tempo che ha dedicato ai lettori di Sul Romanzo.
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