Dictators never went away / Feels like faith took a holiday / Feel the Vibration…
(Boy George, Feel the Vibration, This is what I do, 2013)
Voce struggente, calda, atmosferica, indicibilmente malinconica, seducente, assolutamente inimitabile, immediatamente riconoscibile. Signori… Boy George! This is what I do chiude un’ideale trilogia cominciata nel lontano 1995 con Cheapness and Beauty (album poi coadiuvato dal sequel The Unrecoupable one man bandit, per il solo circuito fan) e a cui ha fatto seguito nel 2002 U can never b2 straight. Nel frattempo George O’Dowd non se n’è stato con le mani in mano, dividendosi tra le saltuarie e poco fruttuose reunion con i Culture Club, il fortunatissimo musical Taboo, l’instancabile attività di Dj in giro per il mondo e gli innumerevoli duetti e collaborazioni. A cinquant’anni suonati, reduce da una dieta dimagrante che sembra avergli restituito la grinta, lo smalto e l’avvenenza di un tempo, Boy si rimette in carreggiata ridando linfa alla sua vena più intimista e cantautorale. Un disco attesissimo, dodici tracce inedite che rendono giustizia a una delle personalità musicali più significative dell’ultimo trentennio. Annunciato con altri titoli provvisori e con altre scalette e continuamente rimandato e posticipato, il progetto ha rischiato più volte di naufragare, poi però ha preso finalmente forma a partire dalla scorsa estate. La gestazione di This is what I do è stata quindi lunga e sofferta e, d’altra parte, quando non si ha più una major discografica alle spalle (vedi il caso analogo di Morrissey, fermo e senza un contratto serio da anni) gli impedimenti e le difficoltà non fanno che sommarsi.
Protagonista è innanzitutto la voce, ispirata, partecipe, suadente, a tratti sofferente, ma sempre carismatica. Nessun virtuosismo fine a se stesso, nessun vocalizzo effettato (e sì che se lo potrebbe permettere): l’intonazione è sincera, misurata, moderatamente melodica, abile nel calibrare drammaticità e ironia. Il primo singolo estratto per la promozione radiofonica è King of Everything (scritto con Mikey Craig e Martin Glover), un brano che non si discosta di molto dalla produzione precedente e che anzi la richiama esplicitamente. Tutti i testi portano la firma di Boy George, a eccezione dell’unica cover presente nell’album: la splendida Death of Samantha di Yoko Ono. Alle musiche, oltre al fido John Themis e ai già citati Craig e Glover, troviamo Richie Stevens, Kevan Frost e Alfred “Pee Wee” Ellis.
Un itinerario musicale confuso, frammentario, a tratti controproducente, ma perfettamente in linea con la personalità volubile, eclettica e camaleontica dell’artista, sempre sospesa tra intimismo e irriverenza. This is what I do apre una nuova fase e una nuova stagione nella parabola di Sister George e, visti i risultati, ci auguriamo che non si tratti solo dell’ennesima parentesi. L’album (prodotto dalla piccola etichetta Very Me Records) è disponibile nei formati cd-digipack e doppio vinile 180 grammi (con cd all’interno). Segnaliamo una ulteriore ghiottoneria per i collezionisti: per celebrare il trentennale dei Culture Club la Virgin Records ha rieditato (in edizione limitata) i 45 giri in versione picture-disk della hit mondiale Karma Chameleon (1983) e di Everything I own (primo singolo solista di Boy George nel 1987).
Leone Maria Anselmi
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Cover Amedit n° 17 – Dicembre 2013. “Ephebus dolorosus” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 17 – Dicembre 2013
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