Ne hanno parlato tutti, in tutti i mari e in tutti i laghi. Mancavo solo io all'appello. E forse l'etere avrebbe fatto volentieri a meno del mio inutilissimo parere, ma siccome al mio posto non ci ho persistito negli intenti e alla fine ho visto questo benedetto film di cui parlavano tutti - promuovendolo a gran voti, poi. Purtroppo in questo periodo sto lavorando come custode ed essendo impiegato dalle tre di pomeriggio fino a mezzanotte, con tutti gli impegni che una vita normale richiede, la visione dei film è stata rimandata fino a data da destinarsi, complice anche una distribuzione fetente che da me l'ha lasciato un-giorno-dico-un-giorno-porco-Gervaso. E questo Boyhood è un film che va visto un po' a prescindere, anche perché, stando a quello che dicono i giornali, è stato girato poco a poco nell'arco di dodici anni, ottenendo un invecchiamento più vero del reale degli attori coinvolti. Ma c'è forse da ricavare qualcosa di buono in un film che punta quasi tutto si questo suo personalissimo modus-operandi? Cosa lo differenzia, a conti fatti, dal tanto sbandierato 3D che fu di Avatar ai tempi? Mi rendo conto che si tratta di paragoni un po empi, ma comunque è una riflessione che mi è venuta prima della visione.
Si seguono dodici anni della vita di Mason, dagli otto fino ai venti, passati prevalentemente insieme alla madre Olivia e alla sorella Samantha. Anni che passeranno fra delle scelte coniugali poco felici da parte della genitrice, numerosi traslochi, la presenza di un padre non affidabilissimo ma comunque buono e la crescita, in un'America che muta col suo protagonista.
Alla fine il film è promosso o bocciato? Diciamo promosso, anche se con delle riserve. Perché anche se non si può fare altro che ammirare lo sforzo che ci ha messo Linklater per portare avanti questa fatica cinefila, alla fine non si può negare che non lasci molto altro. Voglio dire, se fosse stato fatto nella maniera normale, con un classico trucco e parrucco o cambio generazionale degli attori, il film sarebbe stato così diverso? No. Ma sicuramente avrebbe fatto parlare meno di sé. Il problema principale di Boyhood è che i suoi intenti sono lodevoli e del tutto rispettabili, ma il risultato forse non vale la candela. Tornando al film campione d'incassi di Giacometto Camerlenghi, com'è che tutti si sono lamentati del fatto che le avventure del mondo di Pandora siano state scritte in maniera così prevedibile, mentre lo stesso accade con questo film, che è stato tirato avanti per ancora più anni, e tutti gridano al capolavoro? In dodici anni di lavorazione mi sarei aspettato almeno che ne venisse fuori un qualcosa di memorabile, che la maturità che investe un autore e una persona avesse modo di farmi crescere durante la visione e invece, nonostante in risultato finale comunque accettabile e che lo rende degno di essere visto, posso dirmi in parte deluso. Ma forse la colpa è di tutto quell'hype ventosi a creare nel leggere quelle recensioni entusiastiche (e qui premetto che non mi faccio portavoce di nessuna verità assoluta, anzi, sono un tizio particolarmente ignorante) di gente che molto probabilmente ha visto cose che a me sono sfuggite. Perché nel voler ritrarre questo scorcio di vita americana in quasi tre ore, la noia in certi momenti la fa da padrona, insieme a quella vocina che ci fa domandare se era davvero necessario un trattamento simile. Troppo tempo speso a dire poco o nulla, solo a mostrare la quotidianità.Che per carità, è bella, onesta e coerente, ma è inutile che mi si voglia spacciare per normale un qualcosa che poi mette in scena maltrattamenti domestici e continui traslochi, sono cose che (per fortuna) non tutti hanno dovuto passare e possono influire psicologicamente su una persona. Eppure qui le cose accadono ma non lasciano il mordente giusto e pure la terribile scena della Arquette (perché una così brava attrice la si conosce solo per Medium?) che viene picchiata dal marito viene dimenticata in fretta. A questo poi seguono molte altre scene che, come compaiono, vengono dimenticate. E posso capire che «Eh, la vita è fatta anche di quei momenti», ma vorrei ricordare che Moravia ha scritto La noia e non finisce per annoiare manco in una pagina. La colpa principale si può dare anche a un protagonista abbastanza insapore che, nel cercare di dover rappresentare quelli che sono tutti i giovani, finisce per non avere un carattere proprio, portando avanti il film stancamente fra le varie - troppe! - scenette inutili che decisamente non arricchiscono un film che patisce principalmente proprio per il geniale modo in cui è stato realizzato, che in più di un momento offusca quello che è il giudizio generale. Perché forse alla fine non voleva parlare solo della gioventù e della vita media americana, o almeno, non solo. Il tema principale del film mi sembra quello del tempo e delle persone che si diramano dentro di esso. E proprio per questo in più di un punto il vero protagonista non mi è sembrato tanto Mason quanto sua madre, una donna non perfetta e che proprio non si sa scegliere gli uomini, che però ce l'ha messa tutta per far tiare avanti quei figli che adora, per dare loro un tetto sopra la testa e la possibilità di rincorrere i propri sogni. E' a lei che Linklater offre la scena più bella del film, quella del pianto disperato prima che il suo figlioletto se ne vada per il college, elencando tutti quei momenti belli e brutti passati insieme e che, forse danno un senso di esistere a quella lunghezza e a quella narrazione non sempre indispensabile. Ha i suoi momenti anche quel padre che, sempre in quel maledettissimo tempo, si trasforma nell'uomo noioso che magari l'ex-moglie avrebbe voluto molto prima. Ed è proprio al tempio che si rivolge quel bellissimo finale. Forse non bisogna cogliere l'attimo, è l'attimo che coglie noi. Quindi volgi lo sguardo all'orizzonte, Mason, di attimi ce ne saranno ancora molti. Ma sono quelli che hai passato ad averti reso come sei.
Un bel film anche se, parafrasando quello che dice il padre durante la scena del bowling, in certi momenti avrebbe avuto bisogno di qualche spondina.Voto: ★★★