Magazine Musica
Sempre più spesso trovo ridondante e addirittura inutile, continuare a scrivere di “nuova musica”, di nuovi album, di nuovissimi artisti.Ed anche coi “vecchi” in realtà non trovo maggiore soddisfazione...All'inizio dell'anno ho cercato, senza troppa fortuna, notizie sul numero totale di dischi pubblicati nell'allora appena trascorso 2014. Ho trovato briciole non sempre affidabili sui siti SIAE e FIMI così come sulla famigerata RIIA. Non un dato univoco - e chi l'avesse e mi facesse la grazia di condividerlo...- ad ogni modo numeri variabili ma sempre ben oltre il migliaio. Più fortuna avrà avuto chi avesse cercato lo stesso dato ma relativamente a libri o film. Secondo l'ISTAT, per esempio, nel solo 2013 sono state pubblicate (e ripubblicate) 61.966 opere letterarie (http://www.istat.it/it/archivio/libri).Numeri innaturali, insani, riprovevoli in un'ottica di "sostenibilità culturale"; numeri non commensurabili dalla nostra memoria e tanto meno dalle nostre orecchie.E come azzardarsi a proporre sguardi d'assieme, o consuntivi, o bilanci finali...? E come anche non rimanere sempre più delusi, annoiati, dallo scrivere in continuazione rispetto a quelle poche emersioni in questo mare spesso maleodorante?Non per le solite abusatissime obiezioni della "mancanza di qualità" o del "primato dei classici sui moderni", argomenti comodamente sbandierati rispettivamente dai professionisti del pensiero alternativo e dai nostalgici senza cura.Noia, piuttosto, nello scorgere la trasversale ossequiosa volontà di essere ascritti a generi e stili codificati, triti e semplicistici, col solo fine di ottenere una più semplice e redditizia diffusione ed una facile collocazione sugli scaffali dei megastore.Abbiamo ascoltato tutto, ci avete fatto comperare di tutto. Un po' di silenzio, per favore!
***The Comitè Songs For Open Mind(1981)È l'insinuarsi della viola tra le code del cembalo elettrico da cui scaturisce quella chimica gentile di ballata campestre, rubata tanto ai Magnetic Fields quanto ai Pogues più filologici. Una collezione di canzoni che accarezzano l'udito, rotonde come capitelli candidi, rifinite da un vaporoso gusto folk riscritto da Canterbury. Senza troppe pretese di grandeur prog (se non nella biblica Exodus, cortile dei Van Der Graaf), sinceramente ispirate a ballate gaeliche ben più di quanto non fosse una Battle Of Evermore, intrise di spirito sanamente eretico più della “vecchia” Fairport Covention. Svetta alto il rondò neoclassico di Lescurel - non immemore dei Focus, certo - girotondo nobile per teatro di marionette in campielli rinascimentali, forte di un impasto timbrico originalissimo ed inestricabile all'orecchio. In piena crisi del rock romantico, un album che dieci anni prima avrebbe brillato per la Vertigo, fu spazzato via dalla foga più brada e stradaiola, come una farfalla perduta sull’autostrada.Soft BoysMr. Sandman(1972)Quattro damerini con bolerino ben ordinato e pantaloni stretti, caschetti biondi su una spiaggia libera, lasciata all'abbandono da una stagione di festa.I Soft Boys migrarono dalle colline del Kentucky con fiddle, banjo e armonica, per raggiungere quel California Dreamin' di Mamas & Papas sulla sponda opposta del paese.Che resta lontanissima. Cielo grigio su...Impiegarono tre anni per arrivare a Santa Monica, facendosi sì un nome nei circuiti folk più conservatori, ma giungendo in clamoroso ritardo sul sogno della Summer of Love. E presumibilmente fu proprio quel viaggio l'apogeo della loro parabola, che resta quindi celata e non scritta.Il desiderio di essere i nuovi Byrds di Eight Miles High li trasformò in una più terrena versione orientaleggiante dei primi Crazy Horse nel guscio dei Rockets, qui delicati come in una favola di Donovan suonata per un pubblico di treccine liceali. E per fortuna che acciuffarono l'ultimo treno della Reprise, che nel '72 concesse loro di incidere questo album di illuminata nicchia, che conta almeno il raga acustico di Shape and Symmetry e la grande ballata di estrazione bluegrass Dance Now!, tramutata in una sarabanda acidula per banjo e viola con quella vena da Caleidoscope capitati per caso sul palco dell'Avalon Ballroom. Disgiunto, incertissimo, come risvegliato da un sogno che non ha mai fatto in tempo ad incrociare l'alba dell'Acquario; finisce presto come una caramella zuccherina tra le lebbra del bambino, a cui resta quell'agrodolce sapore nella bocca.
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