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Brain Project: presto avranno anche il nostro cervello.

Creato il 12 agosto 2013 da Gianna
Brain Project: presto avranno anche il nostro cervello. Molto presto, il nostro cervello non avrà più segreti: non tanto per noi, quanto per i nostri futuri controllori. Benvenuti in Matrix, grazie al “Progetto Brain” annunciato da Obama e minimizzato dai media: sarà qualcosa di analogo al “Progetto Genoma”, spiega Giulietto Chiesa, e produrrà frutti altrettanto copiosi di quelli che inondarono la genetica e le Borse dell’Occidente. In un campo, tuttavia, del tutto diverso: “Brain Research Through Advancing Innovative Neurotechnologies” dovrà produrre un gigantesco balzo in avanti della conoscenza del funzionamento del cervello umano. «Il “Brain” si propone di sapere da dove nascono – e come – pensieri, sensazioni, sentimenti, ricordi. Fin dove si spinge la coscienza, dove sconfina nell’inconscio. Anzi, di più: cos’è la coscienza. E dove si trova». E attenzione: non stiamo parlando di un futuro remoto. «Il “Brain” ci dice che, tra dieci anni, più o meno, questo futuro sarà presente». Il cyber-androide “Frankenstein” sarà tra noi? Nel caso, «non sarà nostro amico».
«Tutto questo – scrive Chiesa sul “Fatto Quotidiano” – è in via di realizzazione in un contesto “disturbante”», proprio perché «non esiste nessuna certezza riguardo chi utilizzerà questi strumenti». Inoltre, «nessuno può prevedere gli effetti di medio e lungo periodo», dal momento che «tutto si realizza in condizioni di laceranti squilibri di ricchezza, di reddito, di forza e di potere tra aree del mondo, tra Stati, popoli, civiltà e culture». E quindi «saranno i più ricchi, e i meglio armati, ad avere nelle mani strumenti che verranno usati per accrescere il loro dominio sugli altri». Il tutto, «in condizioni di impressionanti sperequazioni sociali e di penuria assoluta di beni». E non dimentichiamo che «gli apprendisti stregoni sono i “Masters of the Universe”, cioè “la scimmia al comando”». Dunque: «Prepariamoci all’atterraggio», perché la notizia ha carattere addirittura epocale: per la prima volta nella storia, grazie a tecnologie che solo ieri avrebbero reso impensabile l’impresa, sarà possibile esplorare «il luogo dove confluiscono i miliardi e miliardi di informazioni che vengono dai miliardi e miliardi di cellule del corpo umano. Che è – quest’ultima parte – all’incirca il 98% di tutta l’attività cerebrale».
Mai ci si era proposti un compito così immenso. E, in tempi di “fine dell’abbondanza”, «non ci s’imbarca in un’avventura di queste dimensioni se non si pensa di poterne trarre un vantaggio», economico e non solo, perché «non è una corporation quella che si propone una tale cornucopia di obiettivi: è l’America in persona, quella che impugna la fiaccola della libertà». E’ lo Stato che ha dominato il XX secolo a rilanciare oggi la posta di una partita che non è più certo di poter vincere nel XXI. Dominio del mondo: «Quello che appare evidente, fin da subito, è che si tratta di un progetto pazzescamente realizzabile». Decine di laboratori, negli Stati Uniti e altrove, sono già impegnati a studiare il collegamento tra l’intelligenza umana e l’intelligenza artificiale, «cioè a trasferire capacità umane – come la visione, la comprensione dei linguaggi, gli stessi processi decisionali che caratterizzano il cervello umano – nelle “macchine di calcolo”, e viceversa». Attenzione, perché il “viceversa” è proprio la novità del “Brain”: «Significa letteralmente trasferire nel cervello umano alcune delle capacità non umane di elaborazione di quantità sterminate di dati, e anche di trasferire, almeno in parte, le velocità superumane di realizzazione di tali elaborazioni».
Idea prometeica: «Stabilire una connessione tra due intelligenze qualitativamente diverse, inconfrontabili, ma che hanno elementi basilari di funzionamento comuni». Tra questi, in primo luogo, il linguaggio binario, che ieri non esisteva. «Cosa ne verrà fuori non lo sa nessuno», sottolinea Giulietto Chiesa: «Ci affacciamo su un altro abisso inesplorato, guardando il quale, dal luogo in cui ci troviamo, si possono intravvedere ombre inquietanti. Tant’è che lo stesso Obama si è sentito in bisogno – annunciando il progetto – di informare il pubblico che verrà istituita una qualche “commissione etica” con l’incarico di studiare le ripercussioni che una tale esplorazione potrà implicare», ben sapendo che «le commissioni etiche hanno scarse munizioni a disposizione contro i possenti interessi di cui stiamo parlando». Dunque, inutile nasconderlo: «I rischi sono enormi», perché il “Brain” è davvero una “nuova frontiera”, «destinata in ogni caso a proiettare Barack Obama nella rosa dei presidenti americani che hanno fatto la storia del futuro».
Eppure, quando il lancio è stato effettuato – marzo 2013 – il clamore è stato contenuto in poche righe, per dare notizia dei primi 100 milioni di dollari stanziati per il 2014. In luce, anzitutto, gli obiettivi medici: potremo affrontare la cura dell’Alzheimer e intervenire finalmente con successo nelle patologie psichiatriche e neurologiche come la schizofrenia e l’autismo. «Il “Brain” ci libererà dunque da molti mali. Come non applaudire?». Di fronte a queste virtù taumaturgiche, tutto il resto passa in secondo piano: se ci saranno problemi, li si affronterà quando si presenteranno. E’ lo stesso «procedimento obliterativo» che accompagnò la creazione della prima bomba atomica: «I vantaggi erano lì, visibili, sottomano. Come non approfittarne? Il principio di precauzione venne dopo, quando già Hiroshima e Nagasaki – indubbi vantaggi dell’epoca – si erano realizzati e avevano cambiato la storia del mondo. E, come sappiamo, ancora oggi il principio di precauzione funziona assai poco e male. Basta pensare a Fukushima. Eppure si va avanti a tutto gas».
Quanto sia il gas che sta cominciando a bruciare per avviare il “Brain”, continua Chiesa, lo si intuisce sfogliando l’elenco dei soggetti principali che lo faranno muovere. «C’è tutto il Gotha del Potere, della scienza, della forza: agenzie federali, a cominciare da quelle militari; fondazioni private, corporations, università». Sono mobilitati interi team di neuro-scienziati e di nano-scienziati, e – non c’è dubbio – il Pentagono in prima persona. Sigle di primissimo piano: l’Nhi, Istituto nazionale per la salute; la Darpa, Agenzia della difesa per i progetti avanzati di ricerca; l’Nsf, Fondazione nazionale della scienza. E poi l’istituto di ricerche mediche Howard Hughes e l’Istituto Allen per la scienza del cervello. Il “dream team” ingaggiato per avviare l’impresa è guidato da Cori Bargmann dell’Università Rockefeller e da William Newsome, dell’Università di Stanford. Primi obiettivi dichiarati: salute e prolungamento della vita umana, sviluppo di tecnologie rivoluzionarie, investimenti a grande potenziale di resa. «Dalle cifre che si metteranno in campo si desume che potrebbe essere anche un rilancio in grande stile dell’economia americana».
Non a caso, continua Giulietto Chiesa, si è parlato fin da subito di qualcosa di simile al decennale “Progetto Genoma” (Hgp, Human Genome Project), che fu accompagnato da un investimento pubblico di circa 300 milioni annui. Che, moltiplicato per dieci, fa 3 miliardi di dollari. “Brain” andrà molto oltre: secondo George M. Church, biologo molecolare già impegnato nell’Hgp, già adesso cifre di quest’ordine di grandezza si spendono nello studio delle neuroscienze e delle nanotecnologie, come conferma l’“International Herald Tribune”. Cifre che, per il “Brain”, saranno moltiplicate per quattro, o per cinque. «In fondo, Ben Bernanke tira fuori dal nulla circa 85 miliardi di dollari al mese: nulla impedisce che si possa moltiplicare per cinque gli investimenti in “Brain”, magari senza dirci niente». Lo stesso Obama, nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione, ha fatto un calcolo fantasmagorico: ogni dollaro investito nell’Hgp ne ha fruttato 140. «Se il “Progetto Genoma” ha creato profitti per 800 miliardi di dollari, proviamo a immaginare cosa potrebbe significare, per l’economia Usa, un “Brain” che potesse contare sull’attivazione di trilioni di dollari di investimenti».
Sono cifre «che fanno sognare banchieri e politici, ancora più convinti che lo sviluppo possa continuare a essere “infinito” anche nella realtà, oltre che nelle loro teste». Il campo di sfruttamento più redditizio? «Sarà quello dei 100 miliardi di neuroni del nostro cervello: territorio di ripopolamento dove si troveranno miliardi di limoni da spremere, costi quello che costi». Mappare il cervello: «Lo si può fare oggi, senza aprirlo. Analogia con l’immensità degli spazi cosmici. Siamo oggi in grado di conoscere la composizione chimica di una stella distante 100 anni luce, o di un satellite di Giove, senza esserci mai andati – addirittura senza avere neppure la speranza che qualcuno possa mai andarci, nei secoli dei secoli: lo sappiamo dall’analisi spettroscopica». Dallo spazio all’encefalo: «Oggi la biologia sintetica ci consente di entrare nel cervello con intere flotte di nano-astronavi capaci di raccogliere (e trasmettere all’esterno) l’attività delle cellule neuronali».
Tutto bene, tutto meraviglioso. Ma viene in mente quello che scriveva Edgar Morin, nei “Sette Saperi”: «La genetica e la manipolazione molecolare del cervello umano permetteranno normalizzazioni e standardizzazioni finora mai riuscite con gl’indottrinamenti e le propagande sulla specie umana». Come ci insegna Edward Snowden, chi è in grado di spiare nei segreti della natura è anche in condizioni di controllare i comportamenti dell’uomo. Secondo il giornalista John Markoff, riguardo al “Brain” «gli scienziati individuano un insieme di complessi temi etici, che includono la privacy, la possibilità di leggere i pensieri e perfino una cosa che oggi riguarda la fantascienza, cioè il controllo delle menti». Giulietto Chiesa lo corregge: «Già oggi decine di centri di ricerca sono impegnati a “leggere nelle nostre menti”, per sapere in anticipo cosa desidereremo, come possiamo comprare, dove andremo, come ci comporteremo. Lo fanno con l’intelligenza artificiale, con i motori di ricerca».
Ora, proviamo a immaginare un cervello artificiale che copia perfettamente un cervello umano. E poi proviamo a immaginare di poter mettere in relazione, via wifi, i due “strumenti”. Avremo un altro uomo, conclude Chiesa. «Ci siamo già. E quest’uomo non ci sarà amico, perché sarà o pazzo o smisuratamente più forte di noi. L’unica cosa certa è che non sarà nessuno di noi». Facile immaginare «gli entusiasmi degli “scienziati ebeti” che sono stati formati per credere ciecamente nel risultato immediato di ciò che creano, ma che sono incapaci di vederne le ripercussioni. E capiremo che siamo nelle dirette vicinanze del “sogno di Frankenstein”». Analogo immaginabile entusiasmo anche degli adoratori della Rete: «Che bello averla direttamente connessa con il proprio cervello! Che meraviglia dilatare istantaneamente il proprio sguardo a tutto YouTube!». Dato il livello culturale e intellettuale medio dei “cittadini di Matrix”, cioè degli abitanti del Mercato, inclusi gli “scienziati ebeti” e i «non meno ebeti economisti», per Giulietto Chiesa «si può scommettere che non esiteranno ad applaudire ogni aggeggio che porti vantaggio economico. Gli diranno che è utile alla salute, o alla tasca, farsi mettere qualche capsula da qualche parte. O farsi fare una “benefica” vaccinazione. Sarà una centrale trasmittente e ricevente, ma che importa ai cittadini di Google?».
  
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