A CACCIA DEL BRASILE - Sul campo, che torneo sarà? Il titolo di apertura potrebbe essere tranquillamente "Brasile contro tutti". Il leit motiv "di chi ne sa" è uno solo: il futèbol verdeoro non potrà, ragionevolmente, fallire anche il secondo appuntamento iridato casalingo, dopo quello del 1950. Sarebbe semplice ribattere che, magari, la grandezza, la diversità, l'unicità del calcio brasileiro potrebbero risiedere proprio in questo: saper vincere ovunque, ma non fra le mura amiche... Discorsi che si porta via il vento, non è sulle leggi dei grandi numeri né sulle cabale che si costruiscono le imprese sportive.
Nel concreto, l'unico riferimento possibile è la Confederations Cup dell'anno scorso, quando si vide all'opera una Seleçao lontana da certa tradizione locale (ma in fondo da quanto tempo, ormai, non si materializza un Brasile in formato "bailando o ritmo do samba", tipo quello del Mundial spagnolo?): difesa organizzata e manovriera, tanto che proprio in terza linea venivano imbastite molte azioni offensive, grazie ai piedi buoni di David Luiz e Dani Alves; centrocampo con poco genio e molti muscoli, in avanti Hulk e Fred che come stile e classe nei piedi ricordavano più il Serginho dell'82 (ma più efficaci, però) che la coppia Romario - Bebeto del '94. E poi un fuoriclasse in pectore, pronto a sbocciare, come Neymar. Dopo una partenza al rallentatore, con pochi sprazzi sul piano del gioco, nella finalissima quel Brasile schiantò la Spagna mostrandosi già squadra "da Mondiale": compatta, corta, agile, dinamica, dalla manovra scarna ma essenziale, capace di travolgere il centrocampo del tiqui taca con vertiginose avanzate in velocità.
MISTERO SPAGNA - Già, la Spagna, l'altra regina designata. Personalmente non credo al quarto titolo internazionale, dopo un Mondiale e due Europei, e magari mi sbaglio ma... vedo fermenti positivi ovunque, rappresentative giovani sbocciate all'improvviso, altre che proprio in questo 2014 paiono destinate a completare il loro percorso di crescita: insomma, una concorrenza non più velleitaria, ma coi mezzi per spodestare la dominatrice assoluta di questi anni. Iniesta e Xavi sono sempre "divini", ma non eterni, e Casillas in stagione ha dato qualche cenno di cedimento: è sì sbocciato qualche giovane interessante, ma pare destinato a fare ancora anticamera. La Roja oltretutto non godrà dell'opportunità, sovente concessa ai campioni uscenti, di giocare un primo turno di rodaggio in vista delle sfide che contano: si comincerà da dove si era finito, dall'Olanda battuta nella finale 2010 a Johannesburg, e pure Cile e Australia son da prendere con le pinze. Io credo che il proprio apogeo il team di Del Bosque lo abbia toccato nel luglio 2012, in quell'atto conclusivo europeo che rasentò la perfezione, giocato peraltro contro un'Italia in stampelle e in debito d'ossigeno. La stessa Italia e il Brasile in Confederations, nonché la Francia nelle qualificazioni mondiali, hanno dimostrato che il gioco di questo squadrone - mito è ora disinnescabile. IL BELGIO COME L'OLANDA '74? - Forze emergenti sbocciate nell'ultimo biennio, si diceva. Guida il drappello la selezione belga di Marc Wilmots. Dire Belgio, per i cultori di lunga data del football internazionale, significa ricordare ispide selezioni anni Ottanta, votate al tatticismo e all'esasperante applicazione dell'offside, eppure ricche di talenti, da Pfaff a Gerets, da Vercauteren a Ceulemans. E lo stesso Wilmots è stato uno degli ultimi alfieri dei Diavoli Rossi prima della crisi: nel 2002 rischiò di spazzare via il Brasile, ma gli annullarono un gol buono negli ottavi. Questo nuovo Belgio si annuncia solido come nelle migliori espressioni del passato, ma più brillante come manovra e luminarie offensive, grazie ai vari Hazard e Lukaku. E dietro ci sono Courtois, Vertonghen, Mertens.... L'attesa che circonda i belgi è simile a quella che accolse l'Olanda nel '74 e la Danimarca nell'86, ma anche la Colombia nel '94. Tutte novità dell'ultima ora che parevano destinate a spaccare in due il Mondiale, ma solo gli Orange fecero l'exploit, mentre per i sudamericani fu addirittura "fracaso". Questo per dire che nel torneo iridato essere pieni di risorse tecniche e agonistiche non basta: conta anche la tradizione, conta l'abitudine a frequentare certi palcoscenici... Ciò non toglie che, sulla carta, il Belgio avrebbe tutto (compreso un abbordabile girone iniziale) per poter entrare fra le prime quattro. Attesa anche per la Colombia di Cuadrado, Jackson Fernandez e Gutierrez, ma non più di Radamel Falcao, e l'assenza del formidabile fromboliere ridimensiona parzialmente i propositi di riscossa della selezione di Pekerman. ARGENTINA E GERMANIA ALLA RESA DEI CONTI - Due grandi storiche, fra le tante, sono da seguire con particolare curiosità: le due che, da più tempo, non battono chiodo a livello di trofei, di allori concreti messi in bacheca. L'Argentina in primis, che non mette piede in semifinale dal 1990 (quando ci riuscì con poco merito e molta fortuna). Non è la Seleccion migliore delle ultime edizioni (arrivo a dire che nei cinque precedenti tornei, fin da USA '94, fosse nel complesso più competitiva, con talenti in tutti i reparti), ma che vuol dire? Nemmeno l'Argentina '86 sembrava potesse ambire a grandi traguardi, e invece si scoprì strada facendo complesso di tremenda efficienza, non solo grazie al Super Dieguito. Oggi Sabella si ritrova una difesa sulla carta modesta, un centrocampo aggrappato al solito, inesauribile Mascherano, sogno proibito del Napoli, e a Maxi Rodriguez, e un attacco, quello sì, stratosferico, dove fra Higuain, Aguero e Di Maria, lo spaurito Messi dell'ultima stagione deve fare il salto decisivo, perché se non si vince un Mondiale, o se almeno non si recita su quel palco da primattore assoluto almeno una volta, non si può ambire al titolo di più forte di tutti i tempi.
Ci sono poi i nostri carissimi nemici tedeschi. Quando parlavo di rappresentative giunte alla piena maturità pensavo proprio a loro: il lavoro di ricostruzione avviato nei primi anni Duemila è pronto a dare i suoi frutti migliori. Da Klinsmann a Low, il gruppo si è via via arricchito di giovani sempre più freschi, brillanti, di personalità, decisivi, da Thomas Muller a Mario Gotze. Finora questo ciclo della Nationalmannschaft ha mostrato una squadra sempre piazzata ma mai vincente: devono sbrigarsi, i teutonici new generation, perché il rischio è di passare alla storia come vi passò la bella Italia di Vicini citata in apertura: frizzante, sbarazzina, ma senza coppe. LE ALTRE - Ci sarebbe da parlare ancora dei nostri avversari di girone, dell'Inghilterra che ha sposato la linea della gioventù più sfrenata (Sterling, Sturridge) e dell'Uruguay aggrappato ai suoi vecchi marpioni (Godin, Suarez, Cavani); del Giappone che Zaccheroni ha fatto diventare adulto al punto che l'anno scorso, in Confederations, ci fece fare una colossale brutta figura pur uscendo dal campo sconfitto, o dell'eterna attesa per un exploit africano (al terzo tentativo, la Costa d'Avorio delle stelle europee farà centro?), o ancora del Portogallo che con un Cristiano Ronaldo al top potrebbe scardinare le gerarchie più consolidate... Preferisco però non dilungarmi oltre. Analizzare le altre compagini in lizza sarebbe presuntuoso, da parte mia: molte le conosco solo superficialmente, le scoprirò compiutamente a Mondiale in corso. E dell'Italia si è parlato nei giorni scorsi e si parlerà a breve: i nostri azzurri meritano un capitolo a parte.
FOOTBALL COMES HOME - Ci siamo, dunque. Come a Euro 1996 in Inghilterra, anche per questo Mundial lo slogan potrebbe essere "Football comes home". All'epoca tornò nella terra dei fondatori, oggi torna dove gli Dei del pallone custodiscono l'essenza più genuina, più naive, più esuberante e libertina di questo sport. Torna, anche, in una terra lacerata da contrasti, tensioni sociali, da una ribellione allo status quo economico e governativo che dalle nostre parti sappiamo solo lasciare sulla carta. Il Mondiale non potrà non risentire di questo clima che intorbida le acque tutto intorno: un Mondiale sbagliato, gestito organizzativamente in maniera inqualificabile, il prodotto più triste di una élite di potere lontana dalle necessità del popolo e di una Federazione internazionale che deve essere totalmente ripensata, sia negli uomini (Blatter...) sia nelle strategie. (2 - Fine).