Mi presento. Mi chiamo Costanza e ho 9 anni, faccio la quarta elementare. Sono brava a scuola, vado a musica e a scherma e mi diverto sia a fare le gare che a suonare davanti alla gente. Insomma non sono un tipo timido e vergognoso. Ho un fratello più grande, è diverso da me come carattere. Lui è bellissimo, ma si vergogna di tutto. Io lo adoro. E mi piace tanto anche la sua morosa. Lei è sempre vestita benissimo e si trucca poco ma bene, non come mia mamma che non si trucca mai.
Io e Luca, questo è il nome di mio fratello, andiamo d’accordo. Anche perché io sono brava, come sorella. Però quando la mamma mi sgrida su certe cose, lui le dà sempre ragione, e a me, viene il nervoso. Penso che anche se sono la più piccola, molto spesso ho ragione io. Volete sapere su cosa mi sgrida mia mamma? Per esempio lei dice sempre che non si devono fare dispetti, che non si spettegola o parla alle spalle degli altri, che le persone non si giudicano dai vestiti, che alle feste si invitano tutti, che se sei gentile tutti sono simpatici con te, che bisogna essere onesti e sinceri. Lo dice proprio sempre:
“Guai a te se mi prendi in giro e dici delle bugie.”
Guai a me, vabbè, tanto non mi fa mai niente, al limite un urlo, poi smette subito. Quando le racconto di cose successe a scuola, lei mi dice con fare minaccioso, “tipo” un investigatore dei Telefilm:
“Sei sicura che sia andata proprio così? Pensaci bene”.
Certo, è vero che mi parte la fantasia e a volte cerco di trasformare un po’ le cose a mio vantaggio. Lo so che ho le mani pesanti, le uso anche prima che qualcuno mi aggredisca, ma con certuni funziona così. So anche che lei pensa il contrario.
Beh ho solo 9 anni ma l’ho già capito che non si riesce ad essere gentili e sinceri allo stesso tempo. Già scrivere in un invito di compleanno a tutti, compreso i maschi, la frase “mi farebbe piacere che tu venissi!” è una bugia. Caro il mio terribile compagno di banco che mi freghi tutti i colori e mi strappi le tasche del grembiule, io non ti volevo, è mia mamma che mi ha obbligato, non mi fa per niente piacere se vieni alla mia festa. Quindi come posso essere sincera. La verità non la posso dire: vorrei invitare tutti tranne Jimmy, Giacomo e Francesco, che sono odiosi. Non vorrei nemmeno la Gloria che è una frignona, lagnosa e permalosa. E poi come posso dire che un regalo mi è piaciuto se mi ha fatto schifo? Lo faccio perché sono obbligata a dire grazie e fare finta. Quindi per mia mamma viva la gentilezza e le buone maniere altro che onestà e sincerità.
E poi lei, che lavora, lavora, ci scarrozza di qua e di là e quando ha un po’ di tempo scrive, legge, va al cinema e sta al computer, beh mi fa piacere per lei. Ma una bambina come me, in tutta sincerità, sarebbe più contenta se avesse una mamma casalinga, sempre presente all’uscita di scuola. A me piacerebbe che lei stesse in casa a cucinare torte e biscotti per me e le mie amiche, perché vorrei invitare le mie compagne ogni giorno a fare i compiti e a giocare.
Mi piacerebbe che quando andiamo al cinema o scegliamo un programma televisivo non mi dicesse:
“Mi rifiuto di vederlo, è troppo cretino.”
“Basta ascoltare questa musica insulsa e ripetere quei balletti che diventi scema anche tu!”
Perché è stato forse intelligente portarmi a vedere un film di Woody Allen con quella che piangeva e parlava da sola seduta nelle panchine? Io preferivo vedere un film con Claudio Bisio o Fabio De Luigi. O quella volta che c’era Maga Martina su un canale digitale, mentre lei voleva vedere il telegiornale.
“Sei grande, è ora che incominci ad informarti.”
Capirai, son grande quando ti fa comodo, faccio la quarta elementare. Non ci credo che lo dicesse anche a mio fratello: lui ha 9 anni più di me. Quando sono nata io sono sicura che lui guardasse i Pokemon o Dragonball o che lo lasciasse giocare con la Play quanto voleva. In verità questo tornava a mio vantaggio. Lei gli lasciava far un po’ come voleva per stare dietro a me: se mi doveva cambiare, allattare o se avevo qualche colica, era meglio per tutti se Luca stava tranquillo, impegnato in un’attività che non richiedesse la presenza della mamma. Così si distraeva.
Comunque la mamma ha avuto qualche anno fa un brutto periodo. Ha perso il lavoro ed era veramente esaurita. Il babbo le diceva che sarebbe andato tutto bene, che c’era lui, che sarebbe potuta stare di più con noi ma lei si sentiva vuota, disperata, come quella di Woody Allen, mi sa. Lo so, anche se lei con noi faceva finta di niente. Sì, lei la patrona dell’onestà, fingeva di essere contenta e allegra. Ma non era sincera. Forse non lo ammetteva nemmeno con se stessa. E così, per far finta di niente, ha continuato ad andare sempre nello stesso bar dove faceva colazione o prendere il caffè, vicino al suo ufficio. Non riusciva, dopo avermi portato a scuola, a tornare a casa mentre tutti andavano a lavorare.
Così è nata la sua amicizia con una coppia di pugliesi, marito e moglie della sua età. Lei li adorava. Perché con loro parlava di cinema, di libri, di tutte quelle cose che a lei interessano e che cerca di far piacere anche a noi, anzi a me, perché mio fratello ormai è grande e può far un po’ come vuole.
Quei signori erano sempre eleganti, ben vestiti, senza essere esagerati, conoscevano un sacco di gente. Non andavano a lavorare nemmeno loro. Non so cosa facessero tutto il giorno. Avevano una casa bellissima, piena di libri, cd, dvd. Avevano cofanetti dei telefilm che anche mia mamma guardava: Lost, Gray’s Anatomy, ma anche qualche telefilm che piaceva me, quelli che danno su MTV e che guardo con mio fratello, come Scrubs o Modern Family. Stavano in un bellissimo appartamento in centro, con una terrazza così grande che d’estate ci si poteva mangiare in tanti e da dove si vedeva anche il tetto del nostro palazzo. E dentro la loro casa c’erano dei mobili antichi e moderni. C’erano tanti quadri e foto. La cucina era grande e luminosa. Lei era bravissima a fare le torte. Lo so perché ogni tanto ci andavo con la mamma per prendere il tè, fare merenda. Ci hanno anche invitato a cena delle volte, sopratutto d’estate. Arrivavano dei loro amici, loro dicevano: “Venite a cena? Salgono persone”. Noi capivamo. Voleva dire che la cena sarebbe stata a base di orecchiette fresche, focaccia, pane e olio, giuncata e buratta. Una roba da impazzire. Non so che amici fossero, certo queste persone tanto generose a cena non si sono mai fermate.
Mio babbo e mio fratello son venuti una volta sola. Loro si stufavano, perché la mamma attaccava a parlare di scrittori, raccontando che stava leggendo quello che era bellissimo o quest’altro così poco convincente. I padroni di casa le davano consigli. Sembrano conoscere i gusti di mamma come solo la sua amica libraia sapeva fare. Però non viaggiavano mai, loro in Puglia non ci tornavano mai. A dire il vero non andavano mai da nessuna parte. Al massimo al bar.
Io non mi sono mai stancata di andarli a trovare, perché mangiare mi piace e non mi annoia. E poi mi mettevano su i dvd che volevo o Disney Channel. Pensa che alla signora piaceva vedere anche i cartoni. Mica li snobbava anche se leggeva dei libri di scrittori stranieri che non so nemmeno ripetere il nome. Io lì stavo bene. Potevo essere gentile ed educata senza però essere falsa. Perché era vero che il cibo era buono, la casa era bella e io mi trovavo sinceramente bene.
Una volta poi mi hanno regalato uno zaino bellissimo. Proprio quello che volevo io, che sarebbe andato bene anche più da grande. É stato a settembre dell’anno scorso. Adesso che ci penso è stata la volta dopo che han sentito me e mia mamma parlare proprio di zaini. Ne avevo visto uno nella cartoleria vicino al bar, ma lei mi diceva che adesso che non lavorava da più di un anno, dovevo un po’ anche accontentarmi, che lo avremmo comprato più bello l’anno dopo. A me era venuto il magone, loro se ne erano accorti e il signore pugliese mi aveva detto, strizzando un occhio. “Ma com’è ‘sto zaino? Che ha di tanto bello?” Evidentemente mi ha ascoltato con attenzione, perché la volta dopo eccolo lì, proprio azzurro e nuovissimo. La mamma c’era rimasta. Poi mi aveva detto, una volta uscita, che si era vergognata di questo regalo, perché lei non lo avrebbe potuto comprare. Ma loro non lo avevano fatto pesare. Era un problema di mia mamma.
Poi dopo poco finalmente la mamma era tornata a lavorare. Era stato un bel momento. Solo che poi i pomeriggi dai pugliesi erano passati. E anche le colazioni della mamma al bar sotto casa loro, perché il suo nuovo ufficio era da tutta un’altra parte e il tempo per il caffè e le chiacchiere non c’era più. Certo loro ogni tanto la chiamavano, si preoccupavano di come le andassero le cose. La mamma lavorava tanto, leggeva meno. Però aveva destinato un ripiano della libreria per i libri da leggere che le avevano regalato o che si era comprata su loro consiglio. La chiamava la mensola dei pugliesi.
Siamo andate a trovarli prima di Natale. Vedeste che albero e che presepe. Un abete alto fino al soffitto tutto in tinta, solo con decori oro e rosso, non c’era niente fuori posto. Il presepe era pieno di cose animate, tipo l’acqua e le stelle del cielo si accendevano e spegnevano. Era del papà del pugliese: “Del povero papà” diceva lui. E poi avevano illuminato con mille lucine il terrazzo: sembrava di stare in una magia. La mamma gli aveva preso un bel regalo, bello per loro intendo. Aveva trovato al mercatino un bel libro di foto della Ravenna di un tempo. Si vedeva anche la loro casa. E in più aveva scelto due romanzi: uno di un autore barese e l’altro di uno scrittore romagnolo. A lei erano piaciuti. Sarebbero piaciuti anche a loro.
Ecco che lì mi è stato chiaro che mia mamma aveva sbagliato qualcosa, le facce le avevo notate. Il libro fotografico su Ravenna aveva prodotto un sorriso sincero. Il pacchetto da dove era uscito il libro dell’autore romagnolo, uno che abita vicino a mia nonna, ma famosissimo perché scrive storie che parlano di fatti di sangue o misteriosi, pieni di informazioni sulle tradizioni delle nostra terra, sempre ambientate in campagna, aveva destato curiosità. Non proprio entusiasmo, ma nemmeno delusione. Ma al terzo pacchetto, dopo aver sgranato gli occhi, lui ha deglutito, non ha detto nulla. Lei ha detto una parola che non mi era mai capitato di sentire quando uno riceve un regalo:
“Perché?”.
E lì la mia mamma ha risposto probabilmente la cosa sbagliata, nel senso che forse non aveva capito la domanda. Lei ha inteso che si fossero commossi e le chiedessero il perché tanti regali e così belli, come a dirle che non doveva, che non era tenuta a tanta generosità. E lei è partita: “Perché siete belle persone, sincere, di quelle persone pulite che raramente si incontrano al giorno d’oggi. Perché mi siete stati vicino nei momenti di sconforto. Perché mi avete fatto conoscere alcuni autori americani che mi sono molto piaciuti. Perché questo scrittore pugliese è uno come voi, un barese profondo e amante della bella scrittura. Possibile che non lo conosciate? Prima faceva il pubblico ministero poi ha lasciato la carriera per scrivere e si è impegnato anche politicamente contro la criminalità, l’ingiustizia. O forse lo avete già letto? Che stupida a non averci pensato.”
Il silenzio era un po’ imbarazzato, ma la signora è stata brava ad agganciarsi alle ultime parole di mia madre. “Non ti offendi cara, vero se lo cambiamo? Questo proprio non lo possiamo tenere. E tu lo hai già letto? Vuoi tenerlo tu?”
Mia mamma lo aveva già letto e aveva anche aggiunto che non gli sembrava di averlo visto fra i loro libri. Ma forse si era sbagliata e che un regalo è bello se chi lo riceve ne è felice. “Potete andare alla mia libreria, anche senza scontrino, lo sanno chi siete, dite che vi mando io. Se scegliete qualcosa di più costoso passo poi io a dar la differenza.”
Poi tutto come prima, a parte il fatto che loro ci avevano regalato cose molto più belle, meravigliose, che mi entusiasmavano davvero. Innanzitutto una specie di forziere pieno di leccornie fresche e prodotti pugliesi cioè vino, olio d’oliva, formaggi, orecchiette, dolci, focacce. In più c’erano pacchetti per ogni componente della famiglia, in scatoline da oreficeria: 4 ciondolini di corallo portafortuna con montatura in oro. Un cuoricino per me e uno per la mamma, e un cornetto per mio babbo e uno per mio fratello.
La mamma sì, avrebbe dovuto chiedersi perché. Ma non lo fece, era troppo imbarazzata. Ma anche felice dell’affetto per i suoi amici pugliesi a cui voleva proprio bene.
Poi noi a capodanno siamo andati a sciare e dal 7 gennaio tutto è tornato ad essere pieno d’impegni come prima. Ci siam mangiati tutto subito. A parte la telefonata di auguri di capodanno non è successo più niente. Non li abbiamo più visti. Ogni tanto la mamma diceva che aveva voglia di andarli a trovare, ogni tanto mandava un messaggio. Loro rispondevano gentili. Ma non siamo più riuscite ad andare a casa loro.
Poi ecco che siamo a questa sera. La mamma di solito segue il TG de La7, mi ha insegnato a chiamare il direttore: “il nostro amico Enrico”. Le piace proprio perché non ci sono quei fatti tipo omicidi e tragedie varie. Ma oggi era stanca, non voleva aspettare le 20. Abbiamo ordinato le pizze, che il babbo è fuori per lavoro. Luca è a cena dalla morosa. Però ci aveva chiamato verso le 18,30. Ci ha detto che c’era stata una sparatoria non lontano da casa, proprio vicino al bar delle colazioni, lo avevano fatto deviare anche in bicicletta. C’era stato addirittura un morto o almeno, lui ne aveva visto uno quando era passato, il cadavere era ancora lì, coperto dal lenzuolo. Lui stava bene, ha detto … “Ma non avete idea di quanta gente c’era fra poliziotti, carabinieri, ambulanze, televisioni. Sembrava di essere in un serial americano”.
Allora avevamo messo sul TG3 delle 19, per vedere se ne parlavano e di cosa si trattava. La faccia della mamma è come esplosa di disperazione e anche a me veniva da piangere. Anzi ho urlato.
Era il titolo principale.
“A Ravenna: pericoloso latitante si oppone all’arresto. Uccisi lui e la sorella in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine in un bar del centro.”
Le immagini mostravano il bar delle colazioni e due foto segnaletiche raffiguravano i pugliesi. Non osavo chiedere cosa voleva dire latitante. Ancora pensavo che i nostri amici fossero morti per errore. Non ci volevamo credere, siamo scoppiate a piangere. Abbiamo ascoltato singhiozzando.
“Buonasera, apriamo con un grave fatto di sangue, inconcepibile, fino a qualche anno fa, per la tranquilla Ravenna. Due fratelli, Ivonne e Valerio Rossenti, di origine barese, ricercati per traffico d’armi e di droga, attività che svolgevano in collegamento con la malavita albanese, erano latitanti dalla morte del padre, Tito Rossenti, avvenuta 10 anni fa durante un inseguimento con le forze dell’ordine. L’indagine era stata portata a termine da un giovane pubblico ministero, oggi scrittore di successo e parlamentare del centro sinistra.
I due conducevano una vita tranquilla, sotto falso nome, fingendosi marito e moglie. Vivevano defilati, ma sotto gli occhi di tutti. Resta un mistero come siano riusciti a non farsi individuare per così tanto tempo. Oggi, le forze dell’ordine hanno tentato l’arresto proprio nel bar in cui i due erano soliti fare colazione o prendere il te nel pomeriggio. L’uomo, vistosi in trappola, ha estratto una pistola che teneva nella giacca ed ha iniziato a sparare tentando la fuga. Proprio in strada è stato ferito a morte. La sorella è invece deceduta in ambulanza, dopo che un proiettile l’aveva colpita alla testa.
Con la morte dei due, le indagini potrebbero trovarsi in un vicolo cieco. La procura di Bari unitamente a quella di Ravenna contavano di ricevere informazioni per smascherare la parte dei malviventi che operava sul territorio emiliano e veneto. I due facevano da punto di smistamento di droga, armi e denaro sporco da riciclare al Nord. La città è sconvolta. Vedete che il bar è distrutto dai proiettili. I Rossenti non lasciano nessun parente, ma tanti interrogativi.
Passiamo alla politica interna…”
Dunque ora mi è tutto più chiaro: un latitante è uno che la polizia non riesce a trovare, un criminale, un disonesto. Eppure è tutto anche più confuso: i nostri amici, se ancora posso chiamarli così, ci avevano sempre mentito, non erano per niente quello che ci facevano credere. Ma i loro sentimenti erano sinceri, la loro generosità vera? Forse sì. Anche se a questo punto il mio zaino era stato pagato con soldi sporchi, e gli amici che salivano dalla Puglia non li abbiamo mai conosciuti perché erano impresentabili. Eppure il cibo che ci regalavano o preparavano per noi era buono, abbondante e mangiare insieme dava allegria. Io non ci capisco più niente. Lo so che ora sono morti, pieni di proiettili, ma non so se sto peggio per la loro morte o per le loro bugie.
La mamma è disperata, non si dà pace. Lo capisco, perché anche io sono disperata. Ci credo, sono le prime persone care che mi muoiono. Ormai lo so cosa significa: che non le vedrò mai più anche se hanno fatto parte della mia vita e anche se tutti i giorni uso un loro regalo. Però ora che ho sentito le cose brutte che facevano, non so se mi va ancora di usarlo.
Il fatto che ne abbiano parlato in questi termini al telegiornale mi fa star male. Cosa devo pensare? Piangere perché non ci sono più o arrabbiarmi perché erano dei bugiardi? E che bugiardi! Ci han fatto credere addirittura che erano marito e moglie. Ripensandoci non li ho mai visti baciarsi. Però è anche vero che all’età della mamma e del babbo e a quella dei pugliesi, chi è che fa tante smancerie? Più nessuno, se è normale.
Comunque quella che mi preoccupa di più è la mamma, sembra incapace di affrontare la cosa.
“Mamma, dai, non piangere, ci sono qui io, ti voglio bene, abbracciami, non ti dirò più bugie, che ho capito che si finisce male.”
“Amore, guarda che piango perché sto male dal dispiacere. Sto malissimo. Una fine così tremenda, così violenta, non si può, non si può. Lo sai quanto volevo bene a quei due. Per me erano amici sinceri, per loro provavo un vero affetto. E sono sicura che anche loro fossero veramente affezionati a noi.”
“Non mi fare arrabbiare mamma. E dico arrabbiata perché tu certe parole non me le fai nemmeno usare. Se tu mi lasciassi parlare come mio fratello, direi proprio quella parolaccia che inizia con inca… e finisce per …ata.
Allora, a me, mi sgridi se arricchisco con un po’ di fantasia i fatti che succedono a scuola e di loro continui a pensare che erano amici onesti. Cacchio cosa deve fare uno perché tu lo consideri disonesto? Quelli facevano i trafficanti di droga e armi, erano ricercati in tutta Italia.”
“Non dire così, sono morti. Morti. Morti. Non riesco a dirlo. Cosa importa se han fatto qualcosa di male in generale, con noi erano magnifici. Il mio dolore è per gli amici persi, non ci sono più, non ci saranno più e io sto male, mi mancano già. Sto male, male, male. Un giorno capirai che fra la sincerità dei sentimenti e l’onestà dei comportamenti … Sono morti ormai. Qualsiasi cosa abbiano fatto, han pagato con la vita. Bisogna ricordarli per le cose buone che han fatto con noi, per noi…”
“NO, NO, NO!!! Basta con ‘sti discorsi, mamma, anche se con me erano buoni e con te parlavano di libri e film, erano brutte persone. Giravano con la pistola. E se succedeva qualcosa mentre erano con noi? Tu me lo hai insegnato: non si prendono in giro le persone. Mamma che amico è uno che non ti dice nemmeno il suo vero nome? Uno che ti fa credere di essere una cosa completamente diversa da quello che è? Dov’è l’onestà? Le cose si dicono: se ti dicevano tutto, tu potevi scegliere: se ti andava bene, potevi decidere di frequentarli lo stesso, affezionarti e far affezionare anche me. Ma così no. Te non lo sapevi chi erano e cosa facevano. Hai voluto bene a degli impostori. Sei te che fai finta, se dici che non ti importa di quello che facevano, ma non ci credo che non ti senti, anche te, fregata, presa in giro. Oppure sei bugiarda quando mi obblighi all’onestà, quando parli di giustizia… Mi sento un mostro per aver voluto bene a quelli lì e mi sa che ti senti così anche te”.
Mi sento io quella grande e matura, lei la bambina capricciosa che vuole ragione a tutti i costi. Forse le aveva dato di volta il cervello per il dolore. Scappo in bagno, mi viene da vomitare. Mentre sono chiusa, seduta sul water, sento mia mamma urlare, emettere un grido fortissimo. Piange come non l’avevo mai sentita. Sembra un animale ferito, che sta per morire. Senza pace. Non mi muovo, non esco, anche se ho bisogno di essere abbracciata, non so, ho paura.