Avete mai sentito parlare dei Fixer? Sono i cugini dei Maker, non altrettanto famosi, ma cominciano ad esserlo. Sono un movimento di giovani smanettoni, nato in California (sempre da quelle parti, vero?) in un dormitorio della Polytechnic State University: una comunità globale di giovani che riparano tutto, dal tostapane al portatile, dai cellulari all’aspirapolvere.
Della loro attività (che prestano gratuitamente) hanno fatto un’ideologia, una sfida culturale contro lo spreco e l’obsolescenza programmata.
Una società dal basso che, silenziosa, spinge per cambiare le cose.
Riduci, riusa, ripara
Essere un Fixer è uno dei tanti modi che i giovani di oggi hanno per opporsi e fare le rivoluzioni, un pueblo unido nella rete senza bandiere rosse né canzoni degli Inti-Illimani.
Ora hanno anche un sito (The free repair guide for everything, written by everyone) che offre gratis manuali per imparare a riparare le cose: ci troverete le istruzioni per sostituire l’hard disk di una console di videogiochi, capirete come fare quando la batteria dello smartphone vi dà segni di morte, quando un elettrodomestico decide di abbandonarvi e tanto altro.
Riparare è rivoluzionario
A me sembra che questi giovani sappiano guardare lontano e la loro attività abbia persino un potenziale rivoluzionario. Il loro non è il solito revival del fai da te o del riciclo o dell’eco-design (tendenze comunque legate a risvolti commerciali). Quello dei Fixer è un movimento culturale, la loro è una visione del mondo, nasce dalla consapevolezza che le risorse sono limitate e che occorre restituire valore alla cose. Come? Conoscendole e riparandole.
Riparare è meglio che riciclare, riciclare significa gettare via gli oggetti, affidarli a nuova esistenza certo…ma riparare aiuta a risparmiare, insegna l’ingegneria delle cose. E se nel mondo non c’è acqua potabile per tutti è anche perché, dicono i Fixer, nessuno sa riparare le pompe dell’acqua. Loro sì, lo sanno fare. Che invidia.
Vero è che gli oggetti che utilizziamo sono progettati per non essere riparabili. Se il mondo vorrà cambiare modalità produttiva, occorrerà obbligare le imprese a produrre solo oggetti con parti sostituibili o quanto meno stabilire sgravi fiscali per chi lo fa. E se non lo fa, lo farà lo stesso. Perché con la stampa 3D Maker e Fixer uniti, una scossa a questo modo di produrre e consumare prima o poi la daranno.
Una nuova logica economica
Un altro motivo che mi fa amare questi giovani smanettoni è che i Fixer sono, proprio come i Maker, immersi nella logica della manifattura digitale.
Attraverso un portale di crowdfunding, raccolgono di volta in volta finanziamenti e soprattutto idee per creare oggetti durevoli e, nel frattempo, hanno anche creato un’impresa di e-commerce, la Flint And Tinder dove per ora si può acquistare un intero guardaroba di base, con capi che hanno una garanzia di 10 anni.
L’Olanda la patria dei Fixer
È dall’Olanda che sono partiti i Repair Café, spazi autogestiti dove la gente si riunisce e trova tutto il necessario – dai trapani all’acquaraggia, dalla macchina da cucire alle saldatrici, dai cacciaviti alle chiavi inglesi – per riparare abiti, computer, giocattoli, ferri da stiro e via elencando.
Di Repair Café cominciano a essercene tanti, in Francia, in Germania, in Inghilterra, Austria, Svizzera, Canada, Brasile, Australia, e qualcuno anche in Italia.
A inventarli è stata una donna, Martine Postma, giornalista e ambientalista, fondatrice della Repair Cafe Foundation, ente no profit che ha ottenuto circa mezzo milione di euro dal governo olandese per portare avanti l’ iniziativa.
La logica dei Repair Café è questa: si mettono in contatto due tipologie di persone, quelli che sanno fare e riparare le cose e quelli che vogliono riparare, non sanno come farlo e vogliono imparare. Se siete intenzionati a metterne su un Repair Café leggete qui: ci troverete informazioni per iniziare l’attività, dritte per i finanziamenti e la promozione.
Sono bravi ‘sti ragazzi, non vi sembra?