Brazil
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Ispirato esplicitamente al romanzo 1984 di George Orwell, è ambientato in un futuro distopico, cupo, con la burocrazia che non lascia spazio alla libertà individuale e chi tenta di ribellarsi viene ucciso senza troppi scrupoli. Con toni grotteschi descrive delle situazioni kafkiane e paradossali.
Sam (interpretato da un’indimenticabile Jonathan Pryce), funzionario in un Dipartimento di Giustizia deve far fronte ad un errore di battitura della stampante (“Buttle” al posto di “Tuttle”), che ha fatto così arrestare e uccidere un innocente scambiato per sovversivo. Anche Jill Layton (Kim Greist), l’inquilina del piano di sopra, viene considerata terrorista per aver difeso la signora Buttle durante la devastazione dell’appartamento. La ragazza, tra l’altro, è identica alla donna dei sogni di Sam e questi cercherà in tutti i modi di salvarla e di scappare con lei.
È questo l’incipit di un film onirico, surreale, strambo con molti momenti di humour nero. La potenza visiva funzionale e suggestiva, crea nello spettatore una sensazione di straniamento. Le scenografie contribuiscono a creare questo effetto.
Certe chicche poi sono indimenticabili. Harry Tuttle – interpretato da Robert De Niro – è un idraulico terrorista davvero particolare. E come dimenticarsi della madre di Sam che si fa tirare e incelofanare la pelle della faccia?
La dimensione farsesca un po’ grezza (detto in senso affettuoso, ci mancherebbe) in stile Monty Python si fa poetica nei sogni puri e innocenti di Sam e inquietante nel finale altrettanto onirico ma senza scampo del protagonista.
La canzone Aquarela do Brasil (conosciuta appunto anche come Brazil), tema e motivetto che si sente spesso per tutto il film (e che ovviamente gli dà il titolo), una samba gioiosa e di ampio respiro, è stata scelta dal regista perché totalmente in contrasto con l’ambiente soffocante e lugubre.
Detto ciò, non bisogna nascondere che sia una pellicola ostica alla prima visione. Spiazzante, molto dura, con una spietatezza e una violenza sottile che si insinuano nello spettatore e non lo lasciano neanche al termine. Sconvolge e sicuramente se ci si aspetta un film comico fine a se stesso allora non fa al caso.
È un’esperienza che deve essere fatta, bisogna immergersi in questa favola così triste e così sincera. Infatti, nonostante l’artificiosità della trama – e come è stato detto varie volte, delle scenografie – è un film totalmente sincero. Si percepisce fin dall’inizio, in ogni secondo, la voglia di raccontare e fare del buon cinema da parte del regista.
Sarà pure ingiusto considerare soltanto Brazil come il capolavoro di Gilliam (La leggenda del re pescatore, L’esercito delle 12 scimmie e Paura e delirio a Las Vegas non sono certo così minori) ma tra gli altri, per quegli anni, come resistenza nel tempo e come complessità, deve essere doverosamente chiamato cult e recuperato da tutti i veri cinefili.
Appuntamento alla prossima settimana con “Il film cult della settimana“.
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